sabato 29 ottobre 2011

Strictly Personal

Buongiorno GRACE, posso parlarti?
Certo cara, accomodati. Dammi un minuto, sto ultimando una COSA. Poi sono tua. 

Trascorre circa un quarto d'ora. Ma sono stanca per spazientirmi come farei di solito. Fuori c'è AMBURGO (nota della scrittrice: questo è il piano della finzione), che mi ricorda di avere un po' di arretrati da smaltire: dalla A di 'andare in banca per chiedere il mutuo' alla Z di 'ziocantante non mi concederanno mai un mutuo, a chi la racconto!?'.

Grace, la bellissima e tranquillissima e solidissima donna entrata per caso nella mia altrettanto bella ma meno solida esistenza, ha ora finito. 

Hai bisogno di me? Per quale motivo...?
Sono un po' stanca, Grace. Ti va di ascoltarmi?
Certo.
Bene, allora... da dove comincio... è un discorso lungo che...
Inizia dal mezzo. Tutti cominciano dall'inizio, tu parti in media res. Per lo meno il racconto si farà interessate per me, che ti ascolto. E' una delle regole della retorica, annotala.
Mi stanno tutti sul cazzo. Non li sopporto. Mi tirano le trecce, mi sfiancano con le loro lamentele, mi caricano la schiena di problemi ai quali trovo continue soluzioni, che poi nessuno di loro persegue. Pretendono pazienza, dolcezza, gentilezza e buonumore, senso civile, dignità, serietà, acume, spirito d'iniziativa, propensione all'azione. Ognuno di loro crede di potermi richiamare all'ordine, il proprio. Nessuno che mi chieda come sto, senza poi attaccare la filastrocca del malumore.
E quelli di loro che non si vogliono sfogare, che dio me ne scampi, al minimo passo falso s'indignano, distruggono castelli di sabbia che nessuno, e sottolineo nessuno, gli ha mai chiesto di erigere a mio nome. Mi ammirano, fino a che sono ammirabile dal loro punto di vista; scuotono la testa con rammarico se si accorgono che no, non sono quella che s'immaginavano.
Bene, questi sono GLI ALTRI. Cosa potremmo fare per stare meglio?
Ucciderli UNO AD UNO. Ho preparato una lista sai, ce l'ho qui... aspet' che...
Il tuo senso dell'umorismo, cara, mi seppellirà dalle risate (si asciuga le lacrime). Ma la mia domanda è seria. La riformulo: cosa potresti fare per stare meglio, evitando spargimenti di sangue?
Ho pensato che avrei potuto evitarli, tutti. Addio e scappo. Ma poi mi sono resa conto di aver bisogno di loro, di sentirne la mancanza, di provare affetto, perfino amore per qualcuno. Allora ho provato ad accontentarli, uno ad uno. Ebbene, Grace, non mi crederai, ma più li assecondavo, più li odiavo.
Cara, non per fare la pignola, ma stiamo sempre a parlare DEGLI ALTRI. Sposta il mirino.
Non lo so, non lo so, io.non.lo.so cosa cavolo devo fare!!!

Amburgo è sempre appoggiata fuori dall'ufficio di Grace; un quadrato di palazzi, cielo e nuvole serali. Sta diventando buio, e l'orario di lavoro è finito. Le pagheranno gli straordinari, penso.
D'un tratto Grace prende il pennarello rosso che usa per cerchiare foto, parole, segni. Evidenzia il meritevole dal trascurabile, si muove in una massa di novità, colori e frasi con l'agilità di un delfino curioso (nota della scrittrice. Scusate il riferimento pubblicitario. Ma è venuto spontaneo, e ho pensato di lasciarlo) in un oceano di imput. Vorrei essere così.

Mi piaci. Hai un Q.I. assolutamente trascurabile, non entreresti mai nel direttivo di una grande azienda e di certo non ti affiderei le sorti dell'economia mondiale. Ma mi piaci molto. Non trovo da tempo una ragazza divenuta donna nel modo in cui lo sei diventata tu; e dovresti evitare di chiedere agli altri di capirti, comprenderti, lusingarti. Non è importante. Non è gratificante. Non è neppure lungimirante. Nessuno di loro saprà mai come ti lavi i denti al mattino, quanta crema idratante metti, dove ti siedi in tram per andare in studio. Eppure, riflettendoci, sono questi gesti quotidiani che ti rendono quella che sei. Alla fine del mese,  all'inizio di un nuovo anno. Ancora e ancora, imperturbabile, la tua forza di volontà, nascosta sotto un sorriso e due occhi ingenuamente spalancati, ha perforato una montagna di noia, indolenza, accidia e depressione. Hai trovato un muro, ci hai scavato un tunnel.
Lo percorro da sola, il tunnel?
Come vuoi; io trovo sia bello stringere la mano di qualcuno a volte.
Già. Ma se mi stringono troppo forte, se si mettono a piangere sulla mia spalla perché c'è buio, se gli dà fastidio l'umidità, se hanno freddo e dicono che è colpa mia...
Lo faranno, sì. Li deluderai molto, perché scopriranno che il tuo tunnel non è arredato, non è comodo, non è neppure spazioso. Ma mia cara, davvero ti devo spiegare io che vale più una nota di biasimo, che una colata infinita di miele?

lunedì 24 ottobre 2011

IL SONNO RISTORATORE.

Ciao, la pausa pranzo è migliore se leggi mentre mangi. 
Quindi mordi, mastica, bevi che sennò t'ingozzi e leggi.

scena 01
Buongiorno ai passeggeri del volo XGFR5473HYFD diretto a UN POSTO CHE VOLETE VOI. Abbiamo un piccolo problema al motore, uno dei due. Ma se ci schiantiamo, attenzione, non pensate di finire su un'isola che un certo Locke sposta nel tempo, minacciato da un certo Ben già bambino triste, oggi sanguinario visionario e un poco vendicativo.

scena 02
La hostess non c'è più, e navigo in uno tsunami, la mia scialuppa di salvataggio (ero su un aereo con le scialuppe di salvataggio, un modello aerodinamico diciamo) è il gommone del gioco Atlantide di Gardaland... Esatto, quello rotondo con il manubrio in mezzo. Non sto a farvela lunga, ma l'onda anomala mi sommerge e mi trovo a nuotare con altri naufraghi verso la riva di una spiaggia che Lost ci fa una pippa.

scena 03
Siamo io e i sopravvissuti. Tra cui mio papino (Freud accomodati pure, analizza l'ovvio dai) e mio fratellino (oggi ventenne) ma nel sogno bimbo di tre anni indifeso e davvero cicciottello. Insomma, siamo lì che ce la raccontiamo come un gruppo di ragazzi dei fiori dopo il concerto dei Camaleonti, che tac!, arrivano gli squali. Squali anfibi. Seguitemi alla scena successiva.

scena 04
Io scappo (e me ne frego di papà e fratello. Egoista), e mi ritrovo all'oratorio del paese. Lo squalo quasi mi becca, papà IL MIO EROE CON L'ASCIA AFFILATA lo fa a brandelli. Guardo papà, pieno zeppo di sangue. Moto di riconoscenza, ma ecco, anche io l'avrei fatto per te eh, diciamolo senza dubbi.

scena 05
Abbandono padre e inerme fratellino che comunque non aveva un ruolo centrale, e sono con Orlando Bloom THE FICO OF FICHI. Ci troviamo su una scogliera (tipo Dover, ma una vale l'altra), e parliamo fitto fitto. Ed è qui che capisco che sto sognando: Orly è gay. E io lo sto insultando per l'ultimo film, I tre Moschettieri. No guarda Orlando non ci siamo. Lui un po' ci rimane male. Ma la conversazione è interrotta dai delfini.

scena 06
Questo branco di delfini dotatissimi ma molto scemi si è appena incagliato tra le rocce della scogliera di Boh Forse Dover Ma Non E' Importante. Io, che è noto sono agile come una gazzella, mi calo (?) e ne salvo uno, liberandolo e gettandolo in mare. Vai Delphi, vai. E che i tuoi compagni delfini invece muoiano qui, che io sto spiegando a Orlando quali mosse fare per far riprendere quota alla sua carriera. Fine? Ma va!

scena 07
Sempre su quella cazzo di scogliera che mi che significa qualcosa a questo punto, dicevo, sulla scogliera arrivano le SCIMMIE CON LA CODA LUNGA. Tipo liana. Salgono dal mare (saranno parenti degli squali anfibi) e sono delle rompipalli dispettose, che faranno molti guai. Ma non scappo, Orlando mi trattiene con sguardo decisamente gaio e mi chiede se ci sono film che credo possano valorizzarlo. Non faccio in tempo a dire A, il sogno per fortuna finisce.

domenica 23 ottobre 2011

BERLINO

Descrizione en plein air.
Di un luogo che ho visto, e che voi umani potete non solo immaginare, ma anche visitare.
Enjoy this lazy Sunday Afternoon, my Fellaws.

Deve essere innanzitutto inverno. Richiamate a voi la sensazione della lama sottile del taglierino che picchietta il vostro nasino, la vostre guance, le vostre palpebre. Milioni di spilli della nonna, tutti sul vostro viso, esposto alle intemperie, e ai baci camminando per strada.

Indossate una giacca a vento molto pesante, piume d'oca imbottiscono un tessuto antipioggia, in grado di respingere il più nobile dei fiocchi di neve. Poca poesia, molto spirito di sopravvivenza. Ai piedi stivali di gomma, doppie calze collant, guanti e sciarpa ça va sans dire, berretta e cappuccio per i più deboli fra voi.

Così siete pronti, e potete imboccare l'uscita della metro.
A questo punto cercate di aprire l'umbrella/ella/ella, ma non pensate di certo a  Rhianna.
Davanti a voi, in questo tardo pomeriggio di febbraio, il cielo grigio topo, la strada bianco ghiaccio, il silenzio inaspettato. Non c'è nessuno, se per nessuno intendiamo qualche macchina random, e pochi passanti lontani.

Rimanete attenti, non distraetevi, perché lo stupore si raggiuge solo attraverso l'osservazione.
Avete molto freddo, siete un po' stanchi per il viaggio da Orio al Serio, ma l'eccitazione scorre veloce anche sotto zero.

Lo spettacolo vi coglie impreparati, e comprendete qui ed ora come il Romanticismo sia una cosa seria. Distante dai cioccolatini Perugina; vicinissimo allo spirito dei nobili, alle passioni che non sono solamente amorose, al pensiero che si fa letteratura.

La Porta di Brandeburgo, il viale Unter den Linden, e ovviamente il gelo. Non dimenticate il gelo, è fondamentale. Avete voglia di un caffè bollente, di un dolce alle mele, di una coperta di lana grezza, di un calorifero infiammato. Il ticchettio che sentite, è il battere incontrollato dei vostri denti.

Ma guardate davanti a voi, muti, fate wow con la bocca.
Non state soffrendo. All'inizio del lungo weekend, le mail qui non vi raggiungono, e siete stranamente ibernati e felici. A volte le sensazioni si accoppiano in modo strano, pensate, e inclinate la testolina come un bimbo accarezzato dopo una buona azione. Siete docili e sereni, non vi manca nulla.
Siete finalmente il cervo, e non il cacciatore.

sabato 22 ottobre 2011

"Do you see the city lights, dear? It is the fire, and it's walking with us."

Siamo un fermo immagine. Un primissimo piano intenso. Un close-up sul dettaglio insignificante.
Siamo un piano sequenza interminabile. Un lento scorrere senza stacchi, pause, buchi neri.
Siamo anche un controcampo, una dissolvenza, un titolo di coda.
Siamo stati il primo ciak, la sceneggiatura scritta, il soggetto abbozzato, l'idea che prende forma.

Ci vestiamo a festa, passeggiamo davanti alla schiera di fotografi, calpestiamo il red carpet.
Rilasciamo interviste, cerchiamo risposte intelligenti, siamo pupazzetti nella centrifuga dei lustrini.
Leggiamo virgolettati imbarazzanti, proviamo a smentire, nessuno ci ascolta.

Costretti, stringiamo mani potenti.
Tu meglio di me, io meglio di te.
L'alternanza è un'arte che abbiamo affinato sul campo; imparando a leggere i nostri corpi: le mani strette e premute al petto (mi manca l'aria, portami via), il sospiro pesante (falla stare zitta, falla stare zitta, falla stare zitta), il labbro rilassato, la chiacchera fluida, il cicalio sostenuto (va tutto bene amore, ce la faccio, ho tutto sotto controllo).

Siamo felici sprofondati nelle poltrone rosse di una sala di cinematografica. La polvere galleggia nel cono di luce, il rumore del proiettore ci costringe al silenzio, la pellicola inizia a girare.

Twin Peaks Theme (1990), by Angelo Badalamenti.

mercoledì 19 ottobre 2011

She wears Prada

Scusa come hai detto che ti chiami?
Non ho detto che mi chiamo, stai sereno.
Scusa, sì, ecco, volevo dire: ciao, come ti chiami?
Anna. (discesa della cortina di ferro, sipario chiuso, game over, a mai più, in questa vita e nelle prossime)
Ahhh Anna, Anna… io sono Francesco e…
Francesco!? Tu giuri di chiamarti dav.ve.ro Francesco!?
Sì sì… perché? (sorrisetto che ha capito tutto della vita, dei bar, dell’alcol, e delle donne)
Nulla, volevo vedere cosa si prova a dire una cosa scema. Tipo ‘scusa come hai detto che ti chiami’.
Ahhh.. . ahahah. Non è serata è?, sei occupata, ti sto dando fastidio o…
Tutte e tre le cose contemporaneamente, non farei una scelta.
Peccato cazzo…
Azzarderei piuttosto ‘che rottura di coglioni stratosferica’. Ma sono punti di vista.
Tu mi sei simpatica Anna. (sorrisone che ha capito tutto del vuoi giocare al gatto e al topo, poi me la dai però)
Tu, io non lo voglio scoprire.
Ma se ti dicessi che di ragazze come te ne ho incontrate a bizzeffe, e che poi la serata è andata bene?
Mi farei dare i loro cellulari per capire se siano state anestetizzate prima o dopo averti conosciuto.
Sei un osso duro, ma io sono un tipo tosto. (sorriso che più largo non potete immaginare, che ha capito tutto del ti faccio sentire una difficile, ti faccio credere di stare al gioco, poi tanto me la dai)
Sei terribile Francesco. Allontanati immediatamente. Ti strappo la lingua a morsi se dai fiato ai polmoni un’altra volta in mia presenza.
Cosa???
L’hai fatto. L’hai rifatto. Tu.non.mi.lasci.scelta. Devo farti male.
Eh? Ma cosa dici!? Sei pazza oh… (sorriso che fu siccome immobile, che non capisce più niente di quello che sta accadendo, in veloce allontanamento)

Anna Wintour si alza, prende la sciarpa caduta dallo sgabello, si allontana dal bancone, esce dal bar. Il mal di testa è quasi passato, la serata è ancora lunga, la casa pulita fortunatamente non la costringerà a fingersi acida e sanguinaria. Francesco era pure carino; purtroppo pieno di sé, stupido, sordo, e incapace di intendere e di volere. Sarebbe stato molto triste assecondare la sua battuta di caccia e accorgersi di non aver neppure il fiatone alla fine della corsa.

domenica 16 ottobre 2011

Sono la Storia

Un'altra volta, mi tocca alzare la voce.
Non mi ascoltate, non mi ascoltate.

Mi piacerebbe lasciarvi bruciare per strada, come un autoblindo enorme ed inerme, silenzioso e scoppiettante di fronte alla vostra rabbia. La vostra violenza, che io stessa organizzo, fomento, alliscio, e poi stempero, sedo e pacifico, non mi spaventa. Se credete mi importi qualcosa del conteggio di feriti e vetrine infrante, siete più stupidi di quanto immaginassi.

Sappiatelo, lottate contro i mulini a vento senza neppure il valido Sancho al vostro fianco. Siete soli, non avete seconde linee, le barricate che create sono così sottili che riesco a vedere la luce dietro di voi. Vorreste essere una muraglia, compatta e cementificata, ma non avete la compassione per aspettare i compagni. Correte sbraitando, dimenticando i motivi per cui vi siete allacciati le scarpe prima della marcia.

Siete indomabili, nell'accezione peggiore del termine: bestie snaturate, non lottate per istinto, ma per programmatico senso di impotenza. Ignoranza sommata alla convinzione che ogni cosa vi sia dovuta. Prima fra tutte, la libertà di essere incivili ma liberi.

Rido davanti ai titoli dei quotidiani, costringo i miei tirapiedi a decantare editoriali di giornali che dovrebbero invece ferirmi. Sono indecisa: schiacciarvi come formichine impazzite, avvelenare le vostre mense, farvi morire nel gelo della steppa. Ah, siete così prevedibili: voi, i vostri politicanti, i vostri simboli capitalisti, le vostre bandiere con la faccia di un medico argentino morto in Bolivia.

Mi annoiate. Mi provocate sonnolenza.
Imparate a leggere piuttosto, e correte qui, attorno a me. Linciatemi in nome di un dio, un'ideologia, una piaga sociale, una recessione, uno stipendio. Vincerei sempre io, è scontato.
Ma provereste l'ebrezza che io stessa, miliardi di anni fa, avvertii nell'arena dei gladiatori, sporca e perdente a Waterloo, grassa e opulenta nelle stanze di Versailles, indigena e stupita dinnanzi alle navi della Reina Isabella di Castiglia.

Sono la Storia, e sono bellissima.
http://www.youtube.com/watch?v=lkGhDHP093M