C’è un pezzo di un film che, quando entro in rotta di collisione con il Sistema, l’ordine delle cose, la Res Publica addirittura, sbroglia l’affanno. Il Divo Giulio, seduto nella penombra di un interno di un palazzo capitolino, confessa il significato, il peso e l’importanza dell’esercizio del potere.
Paolo Sorrentino prende Toni Servillo e lo fa diventare l’Andreotti più vero del vero Andreotti. Voce da uomo di chiesa, servo di dio votato al bene comune e perché no forse supremo. La volontà di Gesù Cristo che scende in politica, tra gli uomini di, chissà, qualcuno disse ‘buona volontà’.
Non ho mai votato Democrazia Cristiana, se non altro perché ho raggiunto l’età di diritto al voto dopo il disfacimento della Prima Repubblica. Mio nonno materno invece lo faceva. Mio nonno paterno si sarebbe tagliato la palla sinistra piuttosto. Non è una questione di chi vota cosa quindi, ma una riflessione (dal punto di vista formale, converrete, costruita molto bene) su quelle cose che abitualmente infervorano gli animi, alzano muri, fanno scoppiare bombe home made.
Mi sono sempre (ok non sempre sempre) chiesta cosa ti spinga a fare politica. Che nome dai al demone che si agita, come scegli dove stare; se essere un compagno, un radicale, un centrista, un socialista ad infinitum, uno che vuole bene a Berlinguer e alla sua salma, o, perché no, uno che ce l’ha sempre (ok non sempre sempre) duro. Schierarsi mi risulta molto difficile: nessun leader ha infiammato il mio senso della giustizia. Eppure ci sono giovani che ancora oggi sanno dire di colore sono.
Il punto interrogativo successivo, quello che il film di Sorrentino (vincitore del premio della Giuria a Cannes 2008, per mettere i cuoricini sopra le i come sulle Smemo delle vostre adolescenze) solitamente placa, è cosa accada poi a pensieri, parole, opere e omissioni di suddetti giovani, una volta varcata la soglia della stanza dei bottoni. In che modo il fanciullino diviene il delfino, e l’attitudine al comando si plasma. Come si orientano decisioni pragmatiche nel recinto astratto della propria coscienza: il compromesso con la Storia, la stretta di alleanze necessarie, l’ingranaggio preciso e inevitabile del corso degli eventi.
Quali parole, sussurrate in un confessionale immaginario, riescono a giustificare le proprie azioni?
Il cinema, che non conosco alla perfezione, ma che amo come anzi di più di quanto possa amare un uomo, me l’ha spiegato in un piano sequenza di pochi minuti.
Il cinema, che non conosco alla perfezione, ma che amo come anzi di più di quanto possa amare un uomo, me l’ha spiegato in un piano sequenza di pochi minuti.
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