Fine della storia di Angelo e la narratrice.
Buona lettura!
Settimane dopo, rivedo Angelo. Casuale ma prevedibile, il temporale estivo delle cinque mentre sei in giro in infradito e pantaloncini. Il parcheggio del supermercato dietro casa, ore sette e trenta circa, picco di presenze di gente molta incazzata. Di solito evito quest’orario. Nuoce gravemente alla salute, come le sigarette e la cioccolata davanti alla tivù. Entro contenta perché ho concluso la giornata lavorativa, esco stressata dalla coda alle casse. Invece mentre chiudo la macchina, con il click click automatizzato, vedo Angelo di fronte a me. Senza coda di cavallo, sembrerebbe. In jeans e giacca impermeabile color arancione, con un orribile cappellino di lana, esito un attimo prima di chiamarlo. Sì, l’ho salutato io per prima. Non si dovrebbe, recita il manuale delle gatte morte in calore, ma io non sono una gatta morta. Quindi ciao! Ehi gambe molli! Scusa come diavolo ti viene in mente di iniziare così, ragazzo che s’accompagna con bionde dalle code equine e cappelli di lana dall’indubbio gusto estetico? Ovviamente sto zitta, e accenno un semplice Ah ciao. Scherzo eh. Figurati pezzo d'idiota che non sei altro, penso sempre. Come stai... Marianna? No, errore, dico con forza stavolta. Puoi pure trovare appellativi deprecabili, gigioneggiare come fossi Walter Chiari, ma il mio nome te lo devi ricordare - penso senza virgole. Scusa ma ho una pessima memoria… Marina? Strabuzzo gli occhi. Manuela, Marcella... Me… Mi… Prova tutte le sillabe, come un alunno di prima elementare davanti alla maestra. Ci sei quasi, hai preso la prima lettera, dico. Ah vedi! Stai entrando anche tu, Emme? Sì, spesa veloce spero. Bene, facciamola insieme, Emme.
Angelo mi cammina davanti, si volta e mi sgama mentre mi aggiusto il ciuffo specchiandomi nelle vetrate dell’entrata. Non sei passata dal parrucchiere? No, ma dovrei. Eheheh, ride Angelo, passandosi la mano sul volto. Nooo, ribelle e arruffato non è male… Sì, certo, l’hai letto su Vogue?, rispondo acida. Scherzavo eh… te la sei presa…? Ma no, era una battuta anche la mia, tranquillo. Angelo si ferma, sorride ancora. Comunque dicevo sul serio, pettinata così non stai male. Sono confusa: il ragazzo mi sta prendendo in giro, fa il galletto, si diverte. E neppure si ricorda come mi chiamo. Maallora perché mi piace? Angelo si avvicina, interrompendo i miei pensieri profondi sul senso della vita (la mia). Te la sei presa però – continua a punzecchiarmi. Mi sento a disagio, e la sciura che mi spinge per acciuffare i peperoni non aiuta. Angelo, visto da così vicino (anche lui subisce il pressing a uomo di un’anziana ed il suo carrello della spesa), sembra un marinaio. Non si è levato il cappello di lana, la barba cresciuta mi fa pensare a Capitan Findus con trent’anni in meno, e il tono della sua voce è troppo alto. Mi prende il braccio, piega le ginocchia appena, abbassa la testa per guardarmi negli occhi. Scusa; se ti ho offesa, ti chiedo scusa. Era per fare una battuta, per… Bum! Una bambina, anni 3 circa, cade ai piedi di Angelo. Pianto, lacrime, dolore inconsolabile espresso ad 100.000 decibel. Mi piego, la raccolgo, le sorrido. Angelo fa lo stesso, solo aggiunge una cosa che ancora ricordo. ‘Ehi pulce, sono così brutto? Ti faccio così paura da piangere così tanto? Chiedilo alla signorina qui, chiediamolo a lei dai’. La piccola smette di piangere, è presa in contropiede, di solito viene consolata, e invece l’uomo barbuto le fa una domanda. Allora gira gli occhioni bagnati verso di me, fa ‘pat pat’ con la manina sulla mia giacca, mi tocca il viso cospargendolo di muco e lacrime. Signora – lui – è – brutto? Guardo la nana, guardo Angelo. Il signore? Nooo, non è brutto. Ha una pessima memoria, fa battute che non fanno ridere, è impertinente, non ha gusto nella scelta dei cappelli, e dovrebbe anche tagliarsi la barba lunga. Ma non è così orribile, che dici piccola? La pulce, sempre più disorientata, ruota verso Angelo. No, dice che non sei brutto. Per un secondo rimaniamo tutti e tre in silenzio, io e lui inginocchiati altezza nano da giardino. Lucia! Lucia cosa fai…!? Lascia stare i signori, dove eri finita? Cosa hai fatto, sei caduta? Ti sei fatta male? Ti sei sporcata? Hai pianto? Non mi posso girare un attimo e sparisci! Come ogni madre, infila mille domande al minuto, penso.
Lucia si allontana seduta sul passeggino, sporgendosi col visino verso di noi, sorridendo da furba, facendo ciao ciao con la mano ad Angelo. Solo a lui, ne sono certa. Rimaniamo soli. Noi e le melanzane in offerta. Allora mi accorgo che lui mi guarda, come in attesa. Dico ‘Prendo le melanzane e scappo’. Lui ride, per la milionesima volta. Sei un tipo strano, sei davvero strana, come fai a dirmi ‘prendo le melanzane e vado’?! Ahahahaha, pazzesco. Assumo il mio sguardo basito, cado nel mutismo, sento il neurone sbattere contro le pareti del cervelletto ‘Fatemi uscire! Fatemi uscire! Questa non ce la può fare cazzo!’. Angelo prende una melanzana, me la punta contro come un pistolero. Vorrei solo portarmelo a casa, melanzane annesse, e l’ha capito anche lui. Mi bacia sulla bocca, col cappello imbarazzante, la barba ispida, la melanzana in mano. Lo bacio sulla bocca, con i rimasugli del moccio di Lucia ancora da qualche parte sulla faccia. SI AVVISA LA GENTILE CLIENTELA CHE IL SUPERMERCATO CHIUDERA’ TRA DIECI MINUTI.
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