Se fossi un Uomo, un Marito, un Padre
Che ho molto a cuore, e che maneggio con cura.
E' faticoso scriverla, sebbene immaginarla sia stato molto semplice.
Scrivo, leggo, cancello, riscrivo. Una, due, tre volte.
Come tutte le storie, leggetela con amore.
Dopo Lidia, arrivarono Giulia, Elena e Maddalena.
Lidia, la maggiore, testarda e cocciuta. Anni 27, lavoro precario. Fidanzato “c’è, non c’è”. Voleva fare l’avvocato. Quindi Legge. Praticantato. Esame di Stato. Poi cambio di rotta forzato: abbandona il prestigioso studio, aspetta un figlio. E’ di Giacomo, solo che Giacomo non lo vuole. Lidia si procura l’ennesima cicatrice, Giacomo puf! sparisce, Lidia torna a stare con me e Clara, e diventa mamma.
Giulia, la seconda, anni 24. Operaia in fabbrica dall’età di 19, appena finito il liceo. Il tempo di un’estate in Grecia con i compagni di classe, poi turnista per 8 ore al giorno. Per scelta sua, che si annoiava sui libri, che andava al cinema per pomiciare con il suo amore di sempre, Marco, e che sorrideva come Clara: gengive in mostra, fossetta sinistra pronunciata, occhi strizzati. Amava Marco, e questo le bastava. E questo bastava anche a noi. La nostra seconda figlia, quieta e gentile, romantica e sognatrice, sapeva quello che voleva, trovava sempre le parole per comunicarlo, convinceva con la pacatezza del suo sorriso.
Elena, la terza, 23 anni di pura stronzaggine. Sembrava una zingara, una gitana. Per Laura, la nonna paterna, non era neppure figlia mia. Clara non si scomponeva:” Oh Signora Laura, ma come. Non vede, è uguale a lei. Bella come lei, con lo stesso carattere. Certo che è figlia di suo figlio”. Capelli sciolti e lunghi, scuri come la terra bagnata dopo il temporale, ma soprattutto occhi languidi. Sempre e comunque, anche con il postino al mattino, diceva nonna.
Maddalena, 15 anni. L’ultima, non cercata, arrivata nello stupore generale.
Sono incinta.
Tu cosa?
Sì, come le tre volte prima. Hai presente, ricordi? E sinceramente non so se io ...
Non sai cosa scusa?
Se lo voglio, adesso, così, di nuovo, ancora.
Stai scherzando?
No che non scherzo.
E se fosse un maschio stavolta, eh!? Non sei curiosa di vedere se finalmente ci riesce l’erede al trono?
Dai scemo…
No, dai tu. Cosa c’è? Cosa non va?
Ma Alberto! Ma cazzo sono passati quasi dieci anni dagli ultimi pannolini, e se ci penso sono ancora stanca. Finalmente siamo noi due, finalmente le ragazze sono grandi, finalmente…
Finalmente avremo un figlio.
Non hai ascoltato una parola di quello che ho detto.
In aprile nasce Maddalena. Non un erede al trono, non un moschettiere, non uno Zorro. Ma per me è uguale, la cullo di notte, la cresco come le altre. E Clara si ammala, da subito.
Quella bambina, per lei, è un peso. Non la voleva, non la vuole, non la vorrà. Tiene duro però, la accompagna a danza, la porta in piscina, le ricama il nome sulla biancheria da campeggio, le corregge i compiti.
E' fatta di roccia la mia sposina: moglie e madre, master and commander. Regge. Resiste.
L'avevo scelta per questa sua inspiegabile qualità: più duratura della bellezza, più affascinante dell’intelligenza, più travolgente dell’ironia. Mi convinco che non ci sono figlie che Clara non possa sgridare, pulire, sistemare, abbracciare.
Lascio che Maddalena la sfinisca, le tolga il sorriso, le rubi le parole. La piccola diventa grande, Clara diventa cattiva. Discutiamo, la faccio piangere, mi fa imbestialire. Una , nessuna, cento sere. A ripetizione.
E così, scelgo di non curarmene. Lavoro sodo, rido altrettanto, non lascio spazio al dolore di mia moglie. Che mi guarda, non mi perdona, e progetta la fuga.
Clara se n'è andata una mattina che non saprei dirvi se più o meno calda delle altre. Non ricordo come fosse vestita, non so neppure se avessimo litigato la sera prima. Non ho notato segnali, non ho capito un cazzo. Mi è scivolata tra le mani, mentre guardavo la televisione, guidavo verso casa, leggevo il quotidiano. Continuo ad amarla molto, pur non capendo il perché.
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