martedì 28 giugno 2011

JOHNNY BOY IS OUR KID

Mi preoccupo Sam.
Per cosa?
Per Johnny.
Johnny Boy va alla grande, Emma.

Sam fuma in veranda. Davanti un campo pieno zeppo di granturco, pronto per l’estate. Il verde intenso, poi il blu del cielo, pronto a diventare nero notte. La pace di casa, pensava Sam, è una cosa impagabile. Il fresco della veranda, fuori, mentre Emma legge l’ennesimo saggio di psicologia, è quello che il Signore Dio Nostro intendeva con ‘e adesso che è il settimo giorno, mi riposo’.

E’ sensibilissimo Sammy, scoppia a piangere per un niente, non sopporta gli scherzi dei compagni di scuola, ed è incapace di difendersi. Né a parole, né con le mani. Non fa a pugni, non si mischia. Piuttosto che sentirsi a disagio, mi sta attaccato alla gonna per ore.
Ha sei anni Emma. Non mi sembra una cosa grave…
Ho la sensazione che non voglia crescere...
Adesso per favore piantala, non dire stronzate.
Lo sento, sono sua madre. E quando mi fissa, implorante, prima di lasciarlo entrare in classe, o durante una festicciola tra amici, io so cosa significa.
E cosa significa? Dillo anche a me, cosa significa, per piacere.
Mi guarda, e non piange subito. Ogni volta è una punizione. Mi lascia la mano sudaticcia, che fino a qualche secondo prima stringeva fortissimo, poi si allontana, sceglie la posizione più difficile da raggiungere a colpo d’occhio, e da lì mi osserva. Non mi dà scampo, e non distoglie mai per primo lo sguardo. Poi piange…
Emma la tua immaginazione migliora di anno in anno cazzo. Dovresti registrarti. Anzi no, dovrei farlo io. Nessuna madre, neppure  la paziente che ho avuto qualche anno fa, quella che credeva che il figlio l’avrebbe ammazzata nel sonno a colpi di carillon, riusciva a raccontare così bene le proprie fantasie.
Che saccente del cazzo che sei Sammy. Vai a fanculo tu, la tua clinica per i pazzi, e le tue madri ossessionate. Sei un coglione… - Emma si alza veloce, urta contro la gamba del tavolo, lascia cadere il saggio di psicologia.
Signora, la prego, torni qui. - Sam urla canzonando la voce del medico di corsia, sa che Emma fa sul serio, e non sarà facile riprendere il discorso.

La cucina pulita è un sollievo per Emma, il profumo dello sgrassatore passato sui fornelli la aiuta a trovare l’equilibrio. Apre il rubinetto, bagna i polsi, strofina la faccia accaldata.
Ehi signora, dico a lei. Mi scuso per la mancanza di tatto del Dottor Sam, prima, in veranda… Sa, quando riceve a casa il dottore si fa prendere la mano. Ma ci teneva a dirle, testuali parole, che ogni sua preoccupazione lo rende molto, molto, molto infelice.

Sam raggiunge Emma di fronte al lavello. Il sole quasi tramontato riflette un raggio sottilissimo sul lavandino in acciaio. L’ultima luce del giorno aiuta i due a parlarsi con calma.

Ehi. Cosa c’è? – Sammy passa la mano sul lavandino. Mhhh, fresco.
Emma non vorrebbe parlare, preferirebbe Sam capisse senza spiegazioni.
E’ doloroso. Sento che qualcosa non va. Lo sento. Non te lo so spiegare, non ho prove, non ci sono episodi evidenti, ma a me basta guardarlo e ho la certezza che qualcosa non sta andando. Tu sei un dottore, non puoi capire…
Io sono anche suo padre. E soffro come te.
Ma allora perché fai finta di niente?

Sammy è esausto. Insieme, lui ed Emma, hanno affrontato questa discussione  milioni di volte. Eppure non sono le parole passate a pesargli, quanto quelle future. Uguali a loro stesse, pensa, forse all’infinito.

Emma nostro figlio è malato. La sindrome di Down è una malattia. Può e potrà fare tantissime cose, non gli mancheranno le occasioni, e saremo presenti come ogni genitore vorrebbe esserlo per il proprio figlio. Ti prometto che staremo attenti, vigili, in ascolto. Ma tu lotti contro i mulini a vento, hai intrapreso una battaglia impari. E questo logora ogni momento passi con Johnny Boy.

Sam fa un pausa. Sa che il carico, a questo punto, potrebbe spezzare la schiena fragile della moglie.

Ma non è un problema di Johnny. E’ il tuo problema, ora, che ti rende così. Intrattabile, perennemente preoccupata, ansiosa ed ansiogena. Lui lo avverte, hai ragione. Sente la tua paura, ma non la capisce. E il motivo, amore, è sempre lo stesso. Il nostro Johnny non sa che gli altri bambini sono diversi da lui, non conosce ancora né la parola né tantomeno il significato di ‘normale’, non si paragona 24 ore su 24 ai suoi amici. Fa fatica, è vero, non è come il compagno di banco e rimane sempre indietro nella corsa. Ma Emma, questa è l’unica vita che vivrà il nostro ragazzo. E sarà la migliore in assoluto. Lo giuro.

Emma scuote la testa, abbraccia Sam per la cintola, lascia cadere il viso sulla spalla del marito. Fuori il verde del granturco ormai è nero, si sentono i grilli, le zanzare pungono. Johnny Boy dorme, la sua giovane mamma ritrova un po’ di serenità, il papà veglia su entrambi. Buonanotte.

domenica 5 giugno 2011

APPLE PIE

E' facile?
No.
Ma posso imparare?
Certamente.
Mi insegni?
Guardami.
E basta?
Chiedimi.
Quando voglio?
Trova il momento.
Come?
Guardandomi capirai.
E se sbagliassi?
Mi faresti arrabbiare. Ma non esiste altro modo.

Ricordo questa conversazione, perché è stata una delle poche avute con mia madre, Charlotte. Portava i capelli raccolti in una foltissima coda di cavallo alta e stretta. Un cerchietto spesso, color verde acqua, per non lasciar cadere neppure un ciuffo. Le mani nella pasta molle e appiccicosa, color giallo uovo. Il sorriso del sabato mattina. Non ho mai imparato a fare la torta di mele, ma so chiedere aiuto quando ne ho bisogno. Sintonizzando il tempo, trovando il ritmo, senza provare vergogna, umiliazione o inadeguatezza. Sono diventata moglie e madre dopo una lunga ricerca, che oggi continua ma non più in solitaria. George l'ho scovato dopo un po' di tentativi, senza avere una direzione precisa. Lui sbaglia ogni volta che non si ricorda quanto zucchero voglio nel caffè. Anzi, neppure me lo chiede se voglia il caffè a dirla tutta. Non capisce se il mal di testa è dovuto al lavoro, ai bambini, o a lui. Così chiede scusa quando non ce ne sarebbe alcun bisogno, e fa casino quando dovrebbe calmare la bestia. E' di indole calma, ma so come farlo incazzare. Quando litighiamo mi scaraventerebbe giù dal balcone, direzione tangenziale. Ci diciamo le peggio cose. Poi uno dei due decide che basta, adesso facciamo pace.

E' sempre bello, nonostante i capelli non siano più ricci come un tempo e il sorriso non sempre pronto. Mi guarda meno, forse perché mi vede sempre. Non esterna in pubblico, abbraccia poco, bacia ancora meno. Credo sia imbarazzo. Educazione. Senso del pudore. Riservatezza.

Non c'è nulla di speciale in lui, se non quando mette su i Kings of Leon, una volta ogni tanto. Sa che mi piace, e saperlo mi rende felice. Di quella felicità scema, che supera ogni tipo di lista possa mai fare per decidere di lasciarlo. O di odiarlo perché non sa quante zollette voglia nel caffè.