mercoledì 28 dicembre 2011

The Perfect Liar

Questa mattina Mrs Joanne si è svegliata presto, aveva fame. 'E' da molto che non ho più fame, solo molta sete. Berrei sempre sai... Acqua, succhi, spremute, vini corposi, spritz con olive, Americani, Sbagliati, e ovviamente del buon rum. Oggi invece un crampo alla bocca dello stomaco mi fatto sobbalzare. Accidenti, mia cara, posso giurarti qui e ora che avevo davvero fame'.

Nora ti toglie il cappello, sfila i guanti gelati, appoggia il montone sulla parte libera del divano. 'Tesoro, è un buon segno. Personalmente credo la fame sia un sintomo positivo, da non sopravvalutare certo, ma neppure trascurare. Cosa vorresti mangiare, cara? Sono indiscutibilmente un'ottima cuoca'.

Mrs Joanne indugia sulla finestra aperta, fuori il vento ha spostato le ultime foglie che Mike aveva accuratamente accumulato ai lati della veranda. Come posso spiegare alla mia giovane amica, assolutamente sprovvista di sentimenti per me così familiari come la rabbia, l'indolenza, l'accidia e la tristezza, cosa significhi avere nuovamente fame? Posso forse spiegare il colore che vedo alle pareti, il tanfo che accompagna l'intera giornata, l'inadeguatezza di ogni singolo arto, vena e osso che mi compone?
'Una torta. Preparami un torta, se non è troppo disturbo cara'.

Nora è calorosa come il primo pic-nic di maggio, soffice e umida quanto una coperta sul prato, la migliore delle cuoche sul serio. Arrotola le maniche del maglione grigio perla, cammina piano verso la cucina, inizia il rito segreto muovendo veloce le mani nella dispensa. 'Vedrai tesoro, rimarrai a bocca aperta. E sarai di nuovo felice'.

Mrs Joanne avvicina il palmo della mano destra alla bocca, schiocca un bacio, lo invia all'amica laboriosa. Sarai.di.nuovo.fe.li.ce. Ha detto così no? Non mi sbaglio, ho inteso bene. Sarò.di.nuovo.fe.li.ce. Ma non voglio, oh Nora, mia cara amica, io non ho nessun bisogno di sentirmi nuovamente felice, serena, entusiasta, leggera. Amo la mia pesantezza, le ancore incagliate nell'abisso, il buio in sala, il cerchio vuoto in cui mi sono agilmente accomodata. Lascio che mi prepari una torta, ostento un ritrovato senso logico certo, ma niente di più. 'Perfetto, l'attesa accresce il piacere'.

L'attesa accresce il piacere. L'ho realmente detto? Che abile bugiarda sono diventata. La mia migliore qualità è senza alcun dubbio la capacità di dire ciò che gli altri vogliono sentire. Assopirne le preoccupazioni. Risollevarne gli animi. E nuotare in solitaria verso il fondale.

martedì 27 dicembre 2011

WHERE THE MAGIC THINGS ARE

Soundtrack: 'A Case Of You' cover by James Blake. Video with the Amazing Rebecca Hall.

Dio mio come ti amo.
Leggimi le labbra, poiché non userò più un soffio della mia voce per dirtelo.
Una volta basta; la prima volta deve bastare. Nuova, irripetibile, incastonata.
Sei la mia sofferenza: molle come la litania più dolce, ti sei insinuata nell'angolo lontano.
Sei la mia infelicità sincera, il mio braccio destro amputato, il mio sonno perduto.
Sei la disgrazia che non augurerei al peggiore dei nemici, il canto tormentato. Sopratutto, il silenzio inascoltato.

Se vivessimo in un mondo banale, aggiungerei che sei la mia adrenalina, il mio mattino, la mia notte.
Ma so che certe cose ti fanno sorridere; gentilmente sorridi di ogni mio sforzo di dichiarazione.
Lo trovi esagerato, inspiegabile, illogico. Tu sei molto più semplice, carnale se vuoi, amorale.
Mi prenderesti il viso tra le mani, nel freddo i cervi ci guarderebbero curiosi, masticando gelidi ciuffetti d'erba.
Per la prima volta mi baceresti.
'Sei uno scemo. C'era bisogno di penare tanto mh?.'


Cari lettori,
come ogni Winter Break, eseguo i compiti. 
La scrittura, la mia, è un procedimento lunghissimo e un po' affannato. Il pensiero purtroppo non è solido come vorrei, e per una storia di 15 righe posso perdere anche un'ora. Enorme sforzo, ma del resto sono ancora una principiante. 
Godetevi il tempo terribile, la neve, il vento e la pioggia. E' in questi giorni che si apre la porta magica.

venerdì 16 dicembre 2011

"C'è sempre una rompipalle da ricordare", canterebbe F. De Gregori.

Come quasi sempre perché i giorni in cui siete costipati non li contiamo, ENJOY.

E non insultiamo il cameriere al 'pronti via'. E' umano, ricorda. E' umano e può sbagliare. Evitiamo i commenti inutili.
Quindi tu stai zitto mh?
Sarcastica.
Sono seria. Se hai mangiato il verme solitario incazzato col mondo a pranzo, tesoro bellissimo, puoi non invitarmi fuori.
Siamo nervosette qui.
Sono una, non trina. E poi nervosette sai chi lo dice? Sai eh!?
La negoziante della merceria che ci mette un quarto d'ora a trovare la cerniera color 'avorio elefante'. Giusto?
No. E piantala che mi dai fastidiooo!
Ti ho sfiorata appena.
Appena per spettinarmi. Guarda!? No.ma.di.co.guar.da? Trenta euro di messa in piega buttati, fium!, andati!
No vabbe' quella roba te l'aveva fatta un parrucchiere? La prossima volta ti prendo per i piedi, ti giro a testa in giù, e faccio meglio.
Sono soldi miei eh, mister Spendo Spando Ma Solo Per Quello Che Decido Io Grazie.
Sei acida... cioè lo sei di tuo, ma stasera emani yogurt.
Irritante. Semplicemente irritante. Guarda andiamo a casa, non ti sopporto. Non ti sopporto più.
'Più' sta per 'In Generale Nella Vita Di Tutti I Giorni'?
Mi è venuto mal di testa, ecco. Mi hai fatto venire l'emicrania a grappolo. Muoviti. A casa. Basta, e guai a te se fiati che giuro - GI.U.RO - prendo e cerco un taxi.

Questa storia finisce qui. Perché la sua morale ('la morale delle storia' che tutti conosciamo) è evidente dall'attacco. Se state con una stracciacazzi, meritate finali tristi, ingloriosi e soprattutto mediocri.

domenica 4 dicembre 2011

Have You Seen My Baggage Sir?

Ciao Ladies And Gentlemen.

Sapete cosa c'è in un chicco di riso? Niente, se non amido. Oggi nessuna riflessione illuminata sul ciclo della vita, ma un augurio per tutti. Prima di Natale, in tempi non sospetti.

ENJOY!


Il prossimo viaggio che farai, mia piccola iena, sarà a Beirut. O a Damasco. O in Tanzania.
Tra donne e uomini che non conosci, immersa nel Nuovo Mondo.
Parlerai un po' affaticata, appena scesa dal treno.
'Dove.devo.andare.per.vedere.la.luce?'
'Per.il.centro.del.sapere.quale.direzione?'
'Scusi.la.felicità.dove.si.compra.qui?'.
Alla fine troverai i cessi a pagamento della stazione: le funzioni primarie innanzitutto.
Alla toilette uno specchio ti guarderà in faccia.
Uh che bella: sfatta, unta, sicuramente maleodorante, necessariamente bella.
Lo sei sempre stata, e lo sarai sempre.
Il viaggio poi esalterà i tuoi lineamenti; irregolari e deformi, eccessivi e marcati.
Fai paura al mondo tu, diceva tua madre. Tu.metti.paura.piccola.mia.
Eppure, qualcuno che non abbia paura, che non si fermi al solletico, che ti lasci parlare senza pistola alla tempia, lo troverai, mia piccola iena.
Non una folla, non una platea, non un anfiteatro, non un agorà.
Ma qual.cu.no lo scoverai.
Un'altra iena, un leone, una libellula, un topolino, una locusta, un granchio, un pastore maremmano.
Persone con volontà e passione pari alle tue, se non più grandi.
Giunti alla tua stessa destinazione, da altre vie, mari e vallate.
Non pensi anche tu sia fantastico questo incontrarsi poco programmatico, questo scegliersi tra miliardi, questo arrampicarsi legati l'uno all'altro?
(...)
Risposta esatta, brava.

Colonna sonora consigliata: Burning Bridges, Breaking Hearts

lunedì 28 novembre 2011

Come, come, come Nuclear Bomb! (cit)

Ciao Lettori!


Volevo scrivere di altro. 
Poi l'umore è cambiato, l'amore è espoloso, il calore del caffè con le persone che dicono cose sconvenienti e bellissime hanno deciso per me.


Sempre e per sempre, ENJOY.

Non parlo molto, non parlo male, non parlo se ci sono altri che mi parlano sopra.
Ma se vuoi con te parlo, sei mia figlia, e con te posso parlare.
Dimmi, forza, apri la bocca di rosa che ti ho regalato.
La confusione fa parte dei trent'anni, e quindi non soffermiamoci troppo su cose inutili.
I soldi non devono farti penare: ne hai, li puoi spendere, li puoi nascondere e moltiplicare.
Con il lavoro, te l'ho insegnato: alzarsi presto, prendere le corna del toro, farsi sentire, tornare a casa stanca.
Molti vivono di espedienti: evitali. Giudicali, non sospendere sempre la tua opinione in nome della correttezza.
Avere un pensiero, farsi un'idea, metterla in discussione: è questo che mi scalda ancora oggi, più vecchio ma sempre capo branco. Non mi è mai mancata la consapevolezza delle mie doti, e non è un male avere fiducia, crederci, andare avanti orgogliosi e fieri. La testa alta è un dono di natura, tu ce l'hai.
Come scusa? Ti crea problemi questo carattere di merda che ti ho passato? Ah, eh, uh. E' vero, hai ragione, non ti ho avvertita. Essere i più forti in circolazione è difficile, l'invidia ti si attacca, e i gradassi vogliono farti male. L'unica via di scampo è essere esemplari. Fare silenzio. Non parlare più, e fare figli.

Colonna sonora consigliata: http://www.youtube.com/watch?v=y7Gee3THtb8

sabato 26 novembre 2011

Before The War Began

La mia depressione è una cosa contro la quale non hai potuto combattere.
So che mi hai amata prima, molto prima, al parco con la bici quel pomeriggio di ottobre del 1998.

'Ciao Susie!'
(Ciao ragazzo più fico della scuola) 'Ciao Mark...'
'Cosa fai? Sei sola?'
(Chi non lo è..) 'Sì, ma sto tornando a casa, è tardi, mia mamma mi aspetta.'
'Ti accompagno. Ti accompagno a casa se ti va.'
(Cavolo, se lo sapessero le mie amiche..) 'Mah, ecco, sì, cioè.. se vuoi sì. Ma non è lontano eh'

La mia depressione esisteva già allora: in quel pomeriggio colorato di arancione, nelle nostre bici trascinate lente, nei nostri passi lenti, in un amore lentissimo. Quintali di pazienza, dedizione e assiduità sul nastro trasportatore della nostra adolescenza. Non riesco a ricordare, forse puoi farlo tu: quanti segreti ti ho rivelato, quante parole mi hai insegnato. Le sigarette smezzate, gli hamburger divisi, le coche succhiate dalla stessa cannuccia. Io maionese grazie, tu solo ketchup lo so. Un walkman, un paio di cuffie, le tue canzoni orribili al posto delle Wanna Be's Spice Girls. 
Io commerciale come un mall made in USA, tu proteso verso l'infinito e oltre.

Eppure ci siamo amati, io e te. Adorati come una Madonna sanguinante, un Budda sorridente, un Cristo divinamente sofferente. Ti ho voluto accanto, ti sei messo sopra, sotto, di lato. Ogni posizione, ogni abbraccio, ogni pomeriggio del tempo insieme. Famelici e dolci. Sudati, ansimanti, sussurranti, dormienti alla fine.

La mia depressione sonnecchiava poco lontano, in esilio ma forte. E' tornata prepotente, rabbiosa, livida. Il freddo della Siberia l'aveva temprata, noi soli non avremmo potuto vincerla.

E' finita con molto dolore, più tuo che mio. Non capivi, non sapevo spiegarti.
'Dimmi cos'hai, dimmelo.'
(Soffro quando vivo) 'Non lo so, non lo so, non lo so.'
'Ti voglio aiutare, sono qui, ti voglio aiutare'
(Sei inutile, vorrei morire) 'Lo so, lo so, lo so.'
'Non ce la faccio così però.'
(Vattene, finalmente Cristo vattene) 'E' finita, starai bene, starò meglio.'

Mark, ci è mancato il lieto fine, ma se ci pensi abbiamo avuto tutto il resto.
Con amore,
Susie

martedì 15 novembre 2011

Put A Wetsuit On.

Mio figlio si chiama Ettore. Ha due fratelli, e un padre. Riassumendo, sono circondata da tre orchi e un principe.

Ettore è l'orco venuto per primo. Oggi ha tre anni, a gennaio saranno quattro. E ha imparato la differenza tra maschi e femmine al nido: le bambine sono rosa, i maschi azzurri. Fine della storia, grazie Ettore, sei il mio eroe. Gli piacciono la palla, e i calci. Se sommo le due cose, potrei iscriverlo a calcio tra qualche anno.

Gabriele è il secondo. Quello che sta in mezzo, un orco poco più piccolo e gracile di Ettore. Ma sempre un orco. Inutile dirvi chi sia il suo idolo: il fratello maggiore. Si picchiano senza ferirsi (quasi mai), forse sono ancora di gommapiuma. Forse si curano i graffi tra di loro: odi et amo nella stanzetta della nanna. Chissà.

Il terzo è Luca. Uca, per i fratelli. Principe, per me. Dopo due urlatori, ci è uscito un piccolo Lord col silenziatore. Se non fosse che lo allatto, non mi accorgerei di averlo messo al mondo. Ma non mi illudo, potrebbe essere la classica acqua cheta. E poi i fratelli orchi lo trascineranno nel delirio quotidiano senza troppe smancerie.

Il quarto uomo, come nel pallone (mi sembra), è a bordo campo. E' l'orco più importante della mia vita. Si chiama Amore, e mi fa ballare ogni sabato pomeriggio mentre i tre ci guardano imbambolati su questa canzone. PUT A WETSUIT ON / COME ON / COME ONE.

Tutto questo si chiama immaginazione.




sabato 12 novembre 2011

The Wind's Daughter

Ciao lettori!

Vi tremano i polsini al pensiero di anni di rincari/sangue/sudore per non farci prendere a cinghiate dalla BCE e dal New Kid on The Block Dragone Mario, o siete tra quelli che festeggiano l'uscita di scena del già Biscione Fininvest/Publitalia/Standa/Milan, e pensate che adesso tornerà il sereno in un battibaleno come quando volavano i Nostri Oh Mini Ponies?
Bene: in entrambi i casi, fregacazzi (trad: Non mi interessa molto).

E' il momento delle storie.
State seduti, leggete, andate a ballare stasera.

Comme toujours, Enjoy!

Quanto sei sconveniente, quando ti agiti in quel modo. Sai che mia madre non lo sopporta cazzo.
Tua madre non sopporta neppure il caldo d'estate, ecco perché le abbiamo regalato quel condizionatore. A tutto c'è una soluzione, chiamami Mrs Wolf.
Mi ha chiesto se voglio incontrare la figlia della sua amica, quella bona, che parla senza alzarela voce in pubblico e fa la dentista.
Tua madre ha fiuto per le occasioni della vita. Sulla carta sembra un ottimo partito. Se vuoi facciamo shopping per trovarti una giacca decente per il primo appuntamento.
Sei scema forte.
Tu non puoi volere che ti risponda seriamente, altrimenti poi dovrei sciacquarmi la lingua col sapone per una settimana.
Cosa vorresti dire?
Lascia perdere genio.
Dimmi cosa pensi, avanti. E non attaccare con le stronzate.

Penso che tua madre sia incapace di volerti bene, e che sia fastidiosa in silenzio, figuriamoci parlante.
Penso che non solo non mi sopporti, ma molto più semplicemente nutra nei miei confronti quella che un dottore bravo definirebbe 'astio atavico per ragazza fica che fa all'amore con il figlio eletto senza preoccuparsi se la piega regge l'amplesso'.
Penso che non mi stia mai ascoltare, e che non faccia niente per fingere di farlo.
Penso che lei pensi che questa cosa mi procuri frustrazione, visto che sono cordiale come un paggetto ogni volta che mi ringhia cortesemente contro.
Ed infine penso che ognuno ha i genitori che il caso gli attribuisce, ma le fidanzate che si sceglie.
Sono a disposizione per ulteriori chiarimenti, non esitare se necessiti.

Questo era un discorso serio?
Ammazza! Ho elencato per punti, non mi sono dilungata, e ho mantenuto un tono neutrale, per non lasciare che le emozioni intaccassero il mio eloquio.
Mettiamo il caso che ti chieda di fare qualcosa per "andarle incontro". Cosa faresti?
Innanzitutto non fare " "con le dita quando parli. Mi irrita, mi ricorda tua madre. Secondo poi, non rischieresti mai così tanto.
Cosa intendi?
Che ti farei lo scalpo, sacrificherei le tue interiora al dio Sole, e lascerei che il resto si decomponga al suolo.
Non faresti nulla, quindi.
Forse non mi sono spiegata bene. Ti farei male, prima di lasciarti assalire dalle iene ridens.
Non ci credo. Sei ragionevole, intelligente, e mi ami.
Smetterò di amarti prima o poi, e allora puf!, potrò massacrarti senza rancore.
Perchè eviti il discorso? Perché cazzeggi? Perché non ne possiamo parlare?
Perchè non sto con te per capire come/quando/dove evitare di ferire tua madre, e farlo non mi renderebbe migliore, ed essere migliore non aggiusterebbe il problema che hai con la tua progenitrice. Se vuoi ti tengo la mano prima di entrare quindi, ma non ho nessunissima voglia di litigare al posto tuo.
... ... ... ...
Sei ancora innamorato o stai pensando alla dentista tutta calda mh?
Sei scema forte, ma hai ragione. Vieni qui va'.

FINE

mercoledì 9 novembre 2011

TOUGHER THAN THE TOUGHS

Amore, vuoi un suggerimento? Sparami. Un colpo solo; non devi maciullarmi, solo uccidermi. Ti sei infatuato di una cagna, una mistificatrice, una meretrice 2.0. Lasciami perdere, non ti merito, e, per quanto ti è concesso sapere beh… magari nemmeno ti voglio. Mi hai fatto il solletico, forse te l’ho permesso senza neppure accorgermene, ma lo sappiamo bene che there’s no direction home for us.

Se preferisci distrarmi, prima di spararmi, possiamo chiacchierare del tempo, dell’efficacia del 4 4 2, dello sbarco dei pinguini su Marte. Dimmi tu, argomento a piacere. Tanto lo sappiamo che non è il cosa, ma il come che ci interesserebbe. Sì, ti ho visto mentre ti facevi i cazzi tuoi. La tua vita mi sembra tranquilla, serena: il tuo futuro con compagna, cani, figli e amici è una cosa seria. Approvo, se è la mia approvazione che stiamo cercando ora. Ehi ehi ehi, non ti irritare eh!, sei tu che non mi vuoi parlare qui. Io sono ferma, un corpo unico scolpito nel marmo carrarese, un blocco silenzioso. Non ho parole, anche se è difficile crederlo. Mi hai preso alla sprovvista, è vero, ma ho sempre un sacco di cose da fare prima che qualcuno le faccia per me.

Sono indisponente, hai ragione. Ma danno sempre a me la parte dell’insensibile, come succedeva a Clint Eastwood. Ecco perché non elencherò le mie infinite qualità nascoste, se per caso te lo stai chiedendo. 
Non accadrà mai, e non per colpa mia. Però potremmo rimanere amici, scambiarci gli auguri a Natale, sorriderci. Non mettermi il muso su. Io  mi innamoro solo dei condottieri, dei guerrieri, e dei ricchi sfondati che mi fanno vivere negli Hampton. Magari nella prossima vita ci incontriamo prima, ci capiamo meglio, e non ci lasciamo scappare. Sarebbe bello sì, hai ragione anche in questo caso.

venerdì 4 novembre 2011

DICE.

Si dice che ci siano degli unicorni che stanno volando sopra le vostre teste, nonostante la pioggia.
Si dice che siano quattro, e che il battito delle loro ali stia alzando il vento.
Si dice che il più anziano tra loro, JAMES I, abbia un messaggio da consegnare al mondo.
Si dice che il più bello tra loro, CHRISTOPHER, abbia un messaggio da consegnare al mondo.
Si dice che il più intelligente tra loro, CLAUDE, abbia un messaggio da consegnare al mondo.
Si dice che il più coraggioso tra loro, FRANCES, abbia un messaggio da consegnare al mondo.

Il mio vicino di casa, che non crede alle favole, dice che si chiuderà in casa stasera, e non guarderà il cielo. Fa male troppa fantasia, fa male. Dice il mio vicino di casa.

Il mio fidanzato, che mi ama nonostante il nonostante, dice che me ne cattura uno. E lo tiene per il matrimonio. Il nostro. Così risparmiamo sulla macchina e l'autista.

La mia amica, che ha un po' di problemi economici, dice che è fico che siano quattro, gli unicorni. Perchè portano fortuna, e quindi stasera quadruplo culo.

Mio padre, che mi ha sgridato come nessuno mai, dice che non sa perché mi abbia pagato gli studi.

Mio fratello, che cresce senza sosta e mi commuove ad ogni sosta, non dice niente. Gli rubo le parole.

Mia madre, che si preoccupa sempre troppo, dice il telegiornale forse ne parlerà stasera.

Stasera, in ogni caso, trovate qualcosa da fare. Che agli unicorni ci penso io.

sabato 29 ottobre 2011

Strictly Personal

Buongiorno GRACE, posso parlarti?
Certo cara, accomodati. Dammi un minuto, sto ultimando una COSA. Poi sono tua. 

Trascorre circa un quarto d'ora. Ma sono stanca per spazientirmi come farei di solito. Fuori c'è AMBURGO (nota della scrittrice: questo è il piano della finzione), che mi ricorda di avere un po' di arretrati da smaltire: dalla A di 'andare in banca per chiedere il mutuo' alla Z di 'ziocantante non mi concederanno mai un mutuo, a chi la racconto!?'.

Grace, la bellissima e tranquillissima e solidissima donna entrata per caso nella mia altrettanto bella ma meno solida esistenza, ha ora finito. 

Hai bisogno di me? Per quale motivo...?
Sono un po' stanca, Grace. Ti va di ascoltarmi?
Certo.
Bene, allora... da dove comincio... è un discorso lungo che...
Inizia dal mezzo. Tutti cominciano dall'inizio, tu parti in media res. Per lo meno il racconto si farà interessate per me, che ti ascolto. E' una delle regole della retorica, annotala.
Mi stanno tutti sul cazzo. Non li sopporto. Mi tirano le trecce, mi sfiancano con le loro lamentele, mi caricano la schiena di problemi ai quali trovo continue soluzioni, che poi nessuno di loro persegue. Pretendono pazienza, dolcezza, gentilezza e buonumore, senso civile, dignità, serietà, acume, spirito d'iniziativa, propensione all'azione. Ognuno di loro crede di potermi richiamare all'ordine, il proprio. Nessuno che mi chieda come sto, senza poi attaccare la filastrocca del malumore.
E quelli di loro che non si vogliono sfogare, che dio me ne scampi, al minimo passo falso s'indignano, distruggono castelli di sabbia che nessuno, e sottolineo nessuno, gli ha mai chiesto di erigere a mio nome. Mi ammirano, fino a che sono ammirabile dal loro punto di vista; scuotono la testa con rammarico se si accorgono che no, non sono quella che s'immaginavano.
Bene, questi sono GLI ALTRI. Cosa potremmo fare per stare meglio?
Ucciderli UNO AD UNO. Ho preparato una lista sai, ce l'ho qui... aspet' che...
Il tuo senso dell'umorismo, cara, mi seppellirà dalle risate (si asciuga le lacrime). Ma la mia domanda è seria. La riformulo: cosa potresti fare per stare meglio, evitando spargimenti di sangue?
Ho pensato che avrei potuto evitarli, tutti. Addio e scappo. Ma poi mi sono resa conto di aver bisogno di loro, di sentirne la mancanza, di provare affetto, perfino amore per qualcuno. Allora ho provato ad accontentarli, uno ad uno. Ebbene, Grace, non mi crederai, ma più li assecondavo, più li odiavo.
Cara, non per fare la pignola, ma stiamo sempre a parlare DEGLI ALTRI. Sposta il mirino.
Non lo so, non lo so, io.non.lo.so cosa cavolo devo fare!!!

Amburgo è sempre appoggiata fuori dall'ufficio di Grace; un quadrato di palazzi, cielo e nuvole serali. Sta diventando buio, e l'orario di lavoro è finito. Le pagheranno gli straordinari, penso.
D'un tratto Grace prende il pennarello rosso che usa per cerchiare foto, parole, segni. Evidenzia il meritevole dal trascurabile, si muove in una massa di novità, colori e frasi con l'agilità di un delfino curioso (nota della scrittrice. Scusate il riferimento pubblicitario. Ma è venuto spontaneo, e ho pensato di lasciarlo) in un oceano di imput. Vorrei essere così.

Mi piaci. Hai un Q.I. assolutamente trascurabile, non entreresti mai nel direttivo di una grande azienda e di certo non ti affiderei le sorti dell'economia mondiale. Ma mi piaci molto. Non trovo da tempo una ragazza divenuta donna nel modo in cui lo sei diventata tu; e dovresti evitare di chiedere agli altri di capirti, comprenderti, lusingarti. Non è importante. Non è gratificante. Non è neppure lungimirante. Nessuno di loro saprà mai come ti lavi i denti al mattino, quanta crema idratante metti, dove ti siedi in tram per andare in studio. Eppure, riflettendoci, sono questi gesti quotidiani che ti rendono quella che sei. Alla fine del mese,  all'inizio di un nuovo anno. Ancora e ancora, imperturbabile, la tua forza di volontà, nascosta sotto un sorriso e due occhi ingenuamente spalancati, ha perforato una montagna di noia, indolenza, accidia e depressione. Hai trovato un muro, ci hai scavato un tunnel.
Lo percorro da sola, il tunnel?
Come vuoi; io trovo sia bello stringere la mano di qualcuno a volte.
Già. Ma se mi stringono troppo forte, se si mettono a piangere sulla mia spalla perché c'è buio, se gli dà fastidio l'umidità, se hanno freddo e dicono che è colpa mia...
Lo faranno, sì. Li deluderai molto, perché scopriranno che il tuo tunnel non è arredato, non è comodo, non è neppure spazioso. Ma mia cara, davvero ti devo spiegare io che vale più una nota di biasimo, che una colata infinita di miele?

lunedì 24 ottobre 2011

IL SONNO RISTORATORE.

Ciao, la pausa pranzo è migliore se leggi mentre mangi. 
Quindi mordi, mastica, bevi che sennò t'ingozzi e leggi.

scena 01
Buongiorno ai passeggeri del volo XGFR5473HYFD diretto a UN POSTO CHE VOLETE VOI. Abbiamo un piccolo problema al motore, uno dei due. Ma se ci schiantiamo, attenzione, non pensate di finire su un'isola che un certo Locke sposta nel tempo, minacciato da un certo Ben già bambino triste, oggi sanguinario visionario e un poco vendicativo.

scena 02
La hostess non c'è più, e navigo in uno tsunami, la mia scialuppa di salvataggio (ero su un aereo con le scialuppe di salvataggio, un modello aerodinamico diciamo) è il gommone del gioco Atlantide di Gardaland... Esatto, quello rotondo con il manubrio in mezzo. Non sto a farvela lunga, ma l'onda anomala mi sommerge e mi trovo a nuotare con altri naufraghi verso la riva di una spiaggia che Lost ci fa una pippa.

scena 03
Siamo io e i sopravvissuti. Tra cui mio papino (Freud accomodati pure, analizza l'ovvio dai) e mio fratellino (oggi ventenne) ma nel sogno bimbo di tre anni indifeso e davvero cicciottello. Insomma, siamo lì che ce la raccontiamo come un gruppo di ragazzi dei fiori dopo il concerto dei Camaleonti, che tac!, arrivano gli squali. Squali anfibi. Seguitemi alla scena successiva.

scena 04
Io scappo (e me ne frego di papà e fratello. Egoista), e mi ritrovo all'oratorio del paese. Lo squalo quasi mi becca, papà IL MIO EROE CON L'ASCIA AFFILATA lo fa a brandelli. Guardo papà, pieno zeppo di sangue. Moto di riconoscenza, ma ecco, anche io l'avrei fatto per te eh, diciamolo senza dubbi.

scena 05
Abbandono padre e inerme fratellino che comunque non aveva un ruolo centrale, e sono con Orlando Bloom THE FICO OF FICHI. Ci troviamo su una scogliera (tipo Dover, ma una vale l'altra), e parliamo fitto fitto. Ed è qui che capisco che sto sognando: Orly è gay. E io lo sto insultando per l'ultimo film, I tre Moschettieri. No guarda Orlando non ci siamo. Lui un po' ci rimane male. Ma la conversazione è interrotta dai delfini.

scena 06
Questo branco di delfini dotatissimi ma molto scemi si è appena incagliato tra le rocce della scogliera di Boh Forse Dover Ma Non E' Importante. Io, che è noto sono agile come una gazzella, mi calo (?) e ne salvo uno, liberandolo e gettandolo in mare. Vai Delphi, vai. E che i tuoi compagni delfini invece muoiano qui, che io sto spiegando a Orlando quali mosse fare per far riprendere quota alla sua carriera. Fine? Ma va!

scena 07
Sempre su quella cazzo di scogliera che mi che significa qualcosa a questo punto, dicevo, sulla scogliera arrivano le SCIMMIE CON LA CODA LUNGA. Tipo liana. Salgono dal mare (saranno parenti degli squali anfibi) e sono delle rompipalli dispettose, che faranno molti guai. Ma non scappo, Orlando mi trattiene con sguardo decisamente gaio e mi chiede se ci sono film che credo possano valorizzarlo. Non faccio in tempo a dire A, il sogno per fortuna finisce.

domenica 23 ottobre 2011

BERLINO

Descrizione en plein air.
Di un luogo che ho visto, e che voi umani potete non solo immaginare, ma anche visitare.
Enjoy this lazy Sunday Afternoon, my Fellaws.

Deve essere innanzitutto inverno. Richiamate a voi la sensazione della lama sottile del taglierino che picchietta il vostro nasino, la vostre guance, le vostre palpebre. Milioni di spilli della nonna, tutti sul vostro viso, esposto alle intemperie, e ai baci camminando per strada.

Indossate una giacca a vento molto pesante, piume d'oca imbottiscono un tessuto antipioggia, in grado di respingere il più nobile dei fiocchi di neve. Poca poesia, molto spirito di sopravvivenza. Ai piedi stivali di gomma, doppie calze collant, guanti e sciarpa ça va sans dire, berretta e cappuccio per i più deboli fra voi.

Così siete pronti, e potete imboccare l'uscita della metro.
A questo punto cercate di aprire l'umbrella/ella/ella, ma non pensate di certo a  Rhianna.
Davanti a voi, in questo tardo pomeriggio di febbraio, il cielo grigio topo, la strada bianco ghiaccio, il silenzio inaspettato. Non c'è nessuno, se per nessuno intendiamo qualche macchina random, e pochi passanti lontani.

Rimanete attenti, non distraetevi, perché lo stupore si raggiuge solo attraverso l'osservazione.
Avete molto freddo, siete un po' stanchi per il viaggio da Orio al Serio, ma l'eccitazione scorre veloce anche sotto zero.

Lo spettacolo vi coglie impreparati, e comprendete qui ed ora come il Romanticismo sia una cosa seria. Distante dai cioccolatini Perugina; vicinissimo allo spirito dei nobili, alle passioni che non sono solamente amorose, al pensiero che si fa letteratura.

La Porta di Brandeburgo, il viale Unter den Linden, e ovviamente il gelo. Non dimenticate il gelo, è fondamentale. Avete voglia di un caffè bollente, di un dolce alle mele, di una coperta di lana grezza, di un calorifero infiammato. Il ticchettio che sentite, è il battere incontrollato dei vostri denti.

Ma guardate davanti a voi, muti, fate wow con la bocca.
Non state soffrendo. All'inizio del lungo weekend, le mail qui non vi raggiungono, e siete stranamente ibernati e felici. A volte le sensazioni si accoppiano in modo strano, pensate, e inclinate la testolina come un bimbo accarezzato dopo una buona azione. Siete docili e sereni, non vi manca nulla.
Siete finalmente il cervo, e non il cacciatore.

sabato 22 ottobre 2011

"Do you see the city lights, dear? It is the fire, and it's walking with us."

Siamo un fermo immagine. Un primissimo piano intenso. Un close-up sul dettaglio insignificante.
Siamo un piano sequenza interminabile. Un lento scorrere senza stacchi, pause, buchi neri.
Siamo anche un controcampo, una dissolvenza, un titolo di coda.
Siamo stati il primo ciak, la sceneggiatura scritta, il soggetto abbozzato, l'idea che prende forma.

Ci vestiamo a festa, passeggiamo davanti alla schiera di fotografi, calpestiamo il red carpet.
Rilasciamo interviste, cerchiamo risposte intelligenti, siamo pupazzetti nella centrifuga dei lustrini.
Leggiamo virgolettati imbarazzanti, proviamo a smentire, nessuno ci ascolta.

Costretti, stringiamo mani potenti.
Tu meglio di me, io meglio di te.
L'alternanza è un'arte che abbiamo affinato sul campo; imparando a leggere i nostri corpi: le mani strette e premute al petto (mi manca l'aria, portami via), il sospiro pesante (falla stare zitta, falla stare zitta, falla stare zitta), il labbro rilassato, la chiacchera fluida, il cicalio sostenuto (va tutto bene amore, ce la faccio, ho tutto sotto controllo).

Siamo felici sprofondati nelle poltrone rosse di una sala di cinematografica. La polvere galleggia nel cono di luce, il rumore del proiettore ci costringe al silenzio, la pellicola inizia a girare.

Twin Peaks Theme (1990), by Angelo Badalamenti.

mercoledì 19 ottobre 2011

She wears Prada

Scusa come hai detto che ti chiami?
Non ho detto che mi chiamo, stai sereno.
Scusa, sì, ecco, volevo dire: ciao, come ti chiami?
Anna. (discesa della cortina di ferro, sipario chiuso, game over, a mai più, in questa vita e nelle prossime)
Ahhh Anna, Anna… io sono Francesco e…
Francesco!? Tu giuri di chiamarti dav.ve.ro Francesco!?
Sì sì… perché? (sorrisetto che ha capito tutto della vita, dei bar, dell’alcol, e delle donne)
Nulla, volevo vedere cosa si prova a dire una cosa scema. Tipo ‘scusa come hai detto che ti chiami’.
Ahhh.. . ahahah. Non è serata è?, sei occupata, ti sto dando fastidio o…
Tutte e tre le cose contemporaneamente, non farei una scelta.
Peccato cazzo…
Azzarderei piuttosto ‘che rottura di coglioni stratosferica’. Ma sono punti di vista.
Tu mi sei simpatica Anna. (sorrisone che ha capito tutto del vuoi giocare al gatto e al topo, poi me la dai però)
Tu, io non lo voglio scoprire.
Ma se ti dicessi che di ragazze come te ne ho incontrate a bizzeffe, e che poi la serata è andata bene?
Mi farei dare i loro cellulari per capire se siano state anestetizzate prima o dopo averti conosciuto.
Sei un osso duro, ma io sono un tipo tosto. (sorriso che più largo non potete immaginare, che ha capito tutto del ti faccio sentire una difficile, ti faccio credere di stare al gioco, poi tanto me la dai)
Sei terribile Francesco. Allontanati immediatamente. Ti strappo la lingua a morsi se dai fiato ai polmoni un’altra volta in mia presenza.
Cosa???
L’hai fatto. L’hai rifatto. Tu.non.mi.lasci.scelta. Devo farti male.
Eh? Ma cosa dici!? Sei pazza oh… (sorriso che fu siccome immobile, che non capisce più niente di quello che sta accadendo, in veloce allontanamento)

Anna Wintour si alza, prende la sciarpa caduta dallo sgabello, si allontana dal bancone, esce dal bar. Il mal di testa è quasi passato, la serata è ancora lunga, la casa pulita fortunatamente non la costringerà a fingersi acida e sanguinaria. Francesco era pure carino; purtroppo pieno di sé, stupido, sordo, e incapace di intendere e di volere. Sarebbe stato molto triste assecondare la sua battuta di caccia e accorgersi di non aver neppure il fiatone alla fine della corsa.

domenica 16 ottobre 2011

Sono la Storia

Un'altra volta, mi tocca alzare la voce.
Non mi ascoltate, non mi ascoltate.

Mi piacerebbe lasciarvi bruciare per strada, come un autoblindo enorme ed inerme, silenzioso e scoppiettante di fronte alla vostra rabbia. La vostra violenza, che io stessa organizzo, fomento, alliscio, e poi stempero, sedo e pacifico, non mi spaventa. Se credete mi importi qualcosa del conteggio di feriti e vetrine infrante, siete più stupidi di quanto immaginassi.

Sappiatelo, lottate contro i mulini a vento senza neppure il valido Sancho al vostro fianco. Siete soli, non avete seconde linee, le barricate che create sono così sottili che riesco a vedere la luce dietro di voi. Vorreste essere una muraglia, compatta e cementificata, ma non avete la compassione per aspettare i compagni. Correte sbraitando, dimenticando i motivi per cui vi siete allacciati le scarpe prima della marcia.

Siete indomabili, nell'accezione peggiore del termine: bestie snaturate, non lottate per istinto, ma per programmatico senso di impotenza. Ignoranza sommata alla convinzione che ogni cosa vi sia dovuta. Prima fra tutte, la libertà di essere incivili ma liberi.

Rido davanti ai titoli dei quotidiani, costringo i miei tirapiedi a decantare editoriali di giornali che dovrebbero invece ferirmi. Sono indecisa: schiacciarvi come formichine impazzite, avvelenare le vostre mense, farvi morire nel gelo della steppa. Ah, siete così prevedibili: voi, i vostri politicanti, i vostri simboli capitalisti, le vostre bandiere con la faccia di un medico argentino morto in Bolivia.

Mi annoiate. Mi provocate sonnolenza.
Imparate a leggere piuttosto, e correte qui, attorno a me. Linciatemi in nome di un dio, un'ideologia, una piaga sociale, una recessione, uno stipendio. Vincerei sempre io, è scontato.
Ma provereste l'ebrezza che io stessa, miliardi di anni fa, avvertii nell'arena dei gladiatori, sporca e perdente a Waterloo, grassa e opulenta nelle stanze di Versailles, indigena e stupita dinnanzi alle navi della Reina Isabella di Castiglia.

Sono la Storia, e sono bellissima.
http://www.youtube.com/watch?v=lkGhDHP093M

domenica 25 settembre 2011

A Planet called Sadie

Sadie ormai era una trentenne. Giovane sì, ma trentenne. Praticava corsa su tapis roulant con cuffiette che non stavano nelle orecchie e cadevano a ogni cambio di marcia. Poi usciva con amici, partecipava a cene, puliva qui e là il suo appartamento, faceva lavatrici dopo le 19 per risparmiare energia e soldi. Sgarrava ogni tanto, sia con le lavatrici che nella vita. Per disattenzione, pigrizia, voglia di cambiamento. Eccitazione da centrifuga pomeridiana, roba per stomaci forti. Con i morosi, li chiamava tutti così, seguiva lo schema dell'elettrodomestico: cercava il risparmio energetico per salvaguardare le relazioni da isterismi e Armageddon senza colonne sonore cantate da Steve Tyler. Ma poi scivolava verso discussioni, dibattiti, faccia a faccia, ring e paradenti. Niente, si diceva, anche questa è andata. E Sadie tirava la linea, la superava, filava davanti a sé come un gatto delle nevi in una notte stellata di dicembre, con guanti antigeloni e un po' di moccio. Il freddo si sente anche se imbottiti dopotutto, ma un naso colante si dimentica con agilità, diceva. Sceglieva sempre tipi sbagliati, era vero, ma aveva forza d'animo e amava molto la sua vita. L'assenza di drammi, la bilancia delle emozioni tarata sulle cose importanti, i soldi come mezzo di sostentamento, i momenti di solitudine e grazia, il silenzio impagabile prima del sonno. Selezionava i consigli, non prendeva appunti, aveva ottima memoria fotografica. Ruotava attorno alle persone, come un pianeta con il suo sole. Non era una stella brillante e lontana, non luccicava per illuminare zone d'ombra. Lei si muoveva, e questo non lo sanno fare tutti.

giovedì 22 settembre 2011

ERAVAMO IO, LUCA, LUCIA E LA FRONTIERA

La frontiera. Dovrebbe essere la nuova frontiera, no?
Cosa dici?
Leggi qui '..la frontiera che dunque dovremmo cercare è ...'. Ma non si dice 'la nuova frontiera'?
Forse devi finire l'articolo.. no?
Sì certo, ma io intendevo che 'la frontiera' è sempre nuova. No? Mi sbaglio?

Luca finisce il caffè, Lucia lascia che il suo diventi freddo. Luca si vorrebbe godere il sabato, Lucia anche. Le due cose, alle volte, non coincidono.

Amore non lo so. Ma che importanza ha adesso?
Niente, pensavo ad alta voce. Adesso metto il silenziatore, tranquillo, no more domande.

Luca adesso è nei casini. Luca ha sbagliato. Tono e contenuto. Forma e sostanza. Povero Luca.

Senti no dai Lucy, dicevo solo che non capivo la tua domanda. Il senso della ...
Io penso semplicemente che ci sia sempre una NUOVA frontiera, sennò non è una frontiera, ma un'altra cosa. Ma sbaglio?


Luca adesso stai calmo e giocati bene le carte che qui ci scappa il morto. 

Lucia, non ti capisco sempre sempre. Non ti vengo appresso. Mi perdo. E sinceramente questa cosa della frontiera mi sembra una cazzata.

Mezzogiorno di sabato di fuoco. Luca è come quell'allenatore che pensa che l'attacco sia la miglior difesa. Lucia si siede bene sulla sedia, lo guarda, e sorride. 

Ok, sì. E' un po' una cazzata sì in effetti.

GRANDE LUCA!

domenica 18 settembre 2011

"Non esistono più persone di un certo tipo"

L'ispirazione è come il Natale. Quando arriva, arriva.
Poco fa, per vostra fortuna, ho visto la luce. Anzi no, ho sentito la luce. Come direbbe Lorenzo Cherubini, monetizzatore di sinestesie da palazzetti dello sport.

Comunque, tornate qui, non canticchiate 'il battito del sole | il battito del sole | il battito del sole' ora.
Adesso noi ci divertiamo.
Ridiamo grasso.
Prendiamo in giro qualcuno. Ma non uno a caso. Bensì uno che se lo merita.

L'uomo marpione. Il toro non castrato. Lo stallone che di cognome fa Brambilla, ma si crede Rocky Balboa.
Biondo, grigio, scuro, sorriso Durban's, mascella pronunciata, braccio ciondolante sulla sedia, abbronzato o pallido. Queste sono variabili dell'equazione. Sottigliezze di poco conto.
Quello che ci fa ridere è più quello che l'uomo marpione riesce a dire. Anzi, a scrivere in chat, via mail, o sms. E' un campione. Inanella punti. Ha un copione, che ripete perpetuo, ritoccando le imprecisioni, e  - cosa più importante, senza demordere. Si rende ridicolo, forse non lo sa, ma forse non gli importa.
D'altronde tira più un pelo di. Che un carro di.

Nel suo vocabolario incontriamo:
a. 'Sei una bella persona', scritto poco prima di 'dai adesso dimmi cosa ti piace di più in un uomo'. Un cuore puro insomma. Ma anche uno che pensa tu sia stata lobotomizzata al nido, insieme alle altre bimbe.
b. 'Non si incontrano più persone di un certo tipo'. Già, rifletti tu, hai ragione. Qualsiasi cosa significhi 'persone di un certo tipo', tu hai proprio ragione. 'Le persone di un certo tipo' non le trovo più, e sì che le cerco eh!? Sbatto contro uno in posta e penso 'chissà se questo panzone è una persona di un certo tipo'.
c. Solitamente non hanno una terza frase. Ma tornano, come al Monopoli, al via.

'Sei una bella persona di un certo tipo' è quindi la conclusione cui arrivate. Tempo di percorrenza totale: due minuti. Perchè tra l'affermazione a) e la b), il Toro Seduto ma Non Sedato, non vi lascia rispondere. Gnaaa. Lui pensa al pelo che tira il suo carro.

lunedì 12 settembre 2011

INTIMITA'

Legenda per la lettura:
LUI in grassetto
LEI in corsivo

Ciao scemetti.
Ciao pirletta.
Ciao Caccola.
Ciao moraccione.
Ciao balorda.
Ciao principe.
Ciao suffragetta.
Ciao pisquano.
Ciao bestia.
Ciao bellezza.
Ciao amore,  DO DO DO DA DA DA.
Ciao Sting.
Ahahah. Hai vinto, scimmia.
Lo so, sei una schiappa cazzarola.

Questo gioco lo facciamo sempre. Relativamente sempre. Quando siamo entrambi senza troppi pensieri, con la pancia piena, e almost russanti. Ci cerchiamo sotto le lenzuola, solo con le mani e senza zozzerie annesse. Io con la mano destra, a tastoni sul suo fianco sinistro. Lui con la sinistra, pizzica il mio fianco destro. 

Di solito siamo due personcine posate, serie azzarderei. 
Ma in questi momenti, se foste lì, potreste capire cosa ci unisce. 
L'idiozia, un attimo prima di sovrumani silenzi e profondissima quiete (notturna). 
E per noi è già domani.

sabato 10 settembre 2011

YOUR BITTERSWEET SEPTEMBER

Siete tornati tutti dalle ferie.Non siete andati in ferie. Non avete un lavoro, quindi non conoscete il significato della parola 'ferie'.
Non importa, non è un test di Glamour per piccole donne mai cresciute.
Se in questi giorni soffrite di ansia depressiva, o depressione ansiosa, potrebbe essere a causa delle ferie finite, della mancanza di ferie, dell'assenza di un impiego redditizio.
Il rimedio, placebo ma pur sempre rimedio, è questo blog.
Riprendete le buone abitudini, rilassate le spalle, comprate un maglione per il freddo.
O Bissi riprende a scrivere.

A tutti voi, amici e lettori, è dedicato il primo brevissimo post di un faticoso Settembre.

Oggi una bambina mi ha guardato fissa al parco, mentre passeggiavo con il cane che faceva pit stop sotto ogni alberello piantato dal comune. Una tappetta di, mah, due anni massimo. Imbambolata.
Mi sono chiesta se fosse per il mio nuovo taglio di capelli: come Valentina di Crepax solo più savage e un tantino meno charmante. Ho abbandonato l'idea quasi subito, realizzando quanta poca importanza potesse avere la mia acconciatura nella vita di una ex neonata.
Allora ho controllato con la mano se avessi pezzetti di brioches dimenticati sulle guance, o agli angoli della bocca. Niente, ordine e pulizia.
Ho pensato di piacerle per la mia maglietta raffigurante quel cartone animato buffo e un po' scemotto, avete presente? E' un orso cicciotto con una maglietta rossa troppo piccola per la sua stazza, un sorriso ebete, e la zampetta sporca di miele. Questo orso ha un amichetto umano, Christopher Robin, e una cumpa di amici animali felici. Tutti parlanti, asino compreso. Insomma, forse, la bimba ha riconosciuto i soliti sospetti, trovando il mio petto irresistibile sotto la faccia di un porcellino rosa.

Mi sono detta che sarebbe stato dolce avvicinarmi, farle ciao con la mano, usare la mia voce da mamma. Un momento di soffice piacere per me, un weekend ancora estivo e mite, una cosa normale.
Così ho fatto: avvicinamento lento, mano pronta, corde vocali avvisate.

Evidentemente ho sbagliato qualcosa, sottovalutando alcuni segnali nella diagnosi differenziale.
La bambina, che chiameremo Elisa, non guardava nè me, nè il mio caschetto increXpato, nè la t-shirt da urlo.
Bensì osservava con perizia il mio cane, occupato nell'ennesima pisciatina mattutina. E lui, per quanto solitamente empatico, non se ne curava minimamente.

Chi ti punta con eccessivo puntiglio, potrebbe in realtà mirare qualcuno al tuo fianco, o poco più sotto.

giovedì 18 agosto 2011

I SAW YOU AMONG THE CROWD. AND I GOT IT.

Amore, ti ho guardato bene ieri sera. In mezzo alla gente sei sempre più bella, perchè la gente è fastidiosa, rumorosa, vuole farsi sentire. Al contrario tu cammini a sfavore di camera, sorridi fuori tempo, parli solo se hai qualcosa da dire. Sei adulta, consapevole, grande. Sono certo di non essere io quello che ti serve ora, il nostro tempo è finito. Lo dico senza rabbia; poiché so cosa sta succedendo. Mi avevi avvertito. 'Sono una mina, non seguo traiettoie altrui, non cerco un salvatore. Ma se ti va, possiamo stare un po' assieme'. Dissi di sì, pensavo avresti cambiato idea. Sbagliavo mannaggia.

Dicevo, in mezzo agli altri ti vedo meglio. E vedo quello che non capivo. Sei severa con te stessa, ma ti sai consolare benissimo. Assecondi la tristezza, accarezzi la depressione. Respiri stati d'ansia, mostri il petto allo sconforto. Attraversi il bosco di notte senza cacciatore, perché la bestia non ti spaventa più. Non vuoi essere salvata, ma amata. 'Attento, c'è differenza', mi dicesti. 'Non provare a darmi risposte, non prepararmi tisane, non caricarti le mie valigie, non aprirmi la portiera'. Corrucciai il viso - tutto il viso. Finsi di intendere, ma ero anni luce dalle tue parole. 'Non confondere l'amore con il benessere', mi urlasti prima di tuffarti in acqua. Splash, eri già lontana, felice e sola dove non si tocca. I pesciolini sotto, la brezza sopra, la crema solare tutt'attorno.

Dicevo, in mezzo alla gente. Sei amabile, gentile, cortese. Recintata, forte, rocciosa. Soda come una pesca, succosa, piena. Concedi moltissimo, dissimuli altrettanto. Osservi, pensi ai cazzi tuoi, poi ti distrai, accarezzi un cane, giochi con una bimba dai capelli carota. Ti centri nuovamente, riacchiappi il filo del discorso, parli, saluti, scegli una canzone, canticchi guidando, tieni il tempo sul volante.

Attraverso il bosco incontrerai sicuramente un cacciatore.
Ma tu cerchi la bestia amore, e sai usare il fucile da te.

lunedì 25 luglio 2011

THE MODERN AGE

Possiamo stare sdraiati tuuutto il pomeriggio. E' domenica, e la domenica è il nostro giorno. Mentre il Signore si riposa, noi cazzeggiamo. Unico sforzo (condiviso): spostare i nostri sederi dal divano al letto. A/R, quante volte vogliamo. La tua maglietta già bianca, oggi grigina, mi ricorda che quando siamo vestiti così, spalmati così, spettinati così, tu di solito attacchi con la storia 'quella volta che'. Io, che ho deciso sì di amare solo te nessun'altro che te, provo a sforzarmi, ma quando parti con gli aneddoti della tua vita A.M. (ante madda), mi rompo. Sono sempre uguali. Divertenti, con uno che a un certo punto si ubriaca tanto da vomitare addosso a qualcun'altro, e con bellissime tope che fanno tantissime robe. Quindi fingo di ascoltare, e inizio a pensare a quando ho deciso di amarti. Stavo compilando un modulo incompilabile, picchiettando la BIC sul foglio a tempo di musica. Erano circa due giorni che pensavo solo al tuo viso, e al sorriso in mezzo al tuo viso. E quanto fosse gentile quel sorriso, e pure quel viso, in mezzo ai maleducati cui mi toccava sorridere.

Quindi è così che oggi siamo qui, molli sul materasso. Io picchietto i polpastrelli sulla tua schiena, mentre tu fischietti quella canzone che un giorno dava il ritmo alla mia BIC. Con quel sorriso così gentile, che sì, posso resistere al 1200esimo 'quella volta che' senza riportare ferite gravi.
http://www.youtube.com/watch?v=cfamwv1kR4M

giovedì 14 luglio 2011

ONCE WE WERE STRANGERS

Ehi ...ehi ciao! Quanto tempo...

Grace alza la testa,le mani fruganti nella borsa. Cercare le chiavi della macchina diventa un'impresa dopo la seconda birra per lei. E il chiaro del lampione non l'aiuta. Però Grace è sveglia, cioè una tipa davvero molto sveglia, e la voce che l'ha appena salutata la riconosce. Due mesi che non la sente, ma la riconosce.

Marco? Marco!? Marco! Madonna mia, ciao! Cristo sì, un casino di tempo davvero.
Come stai? Che fai?
Sto cercando le chiavi della macchina da tipo un quarto d'ora, ma sto bene. Nonostante sia possibile le abbia perse, le chiavi dico...
Ahahaha. Sei sempre una mina cazzo...
Immagino sia un complimento.
Immagini giusto...

Imbarazzo cosmico. Come quando un collega va al bagno dopo di voi, e voi siete costipati. Come alle casse fai da te al supermercato, e il codice a barre dello yogurt non si legge, e dietro di voi una fila che neppure l'A1 direzione sud in agosto.

Sei sparita.
Io? Ahahaha, sei simpatico ammazza.
Ma sei sparita sul serio...

Grace pensa. Rotelline in moto, ingranaggi lenti, flashback. Allora: ci conosciamo a casa di Monica. Ci sentiamo. Ci vediamo. Usciamo. Facciamo roba una, due, tre e (se ricordo bene) anche quattro volte. Lo chiamo. L'utente non è raggiungibile. Gli mando sms. L'utente non sa leggere. Faccio le fusa. L'utente  non coglie. Divento esplicita. L'utente, evidentemente, non gradisce. La pianto, incasso il colpicino, vivo due mesi senza vederlo. Fino a questo venerdì sera, ore 00.25, parcheggio del locale in cui ho riso come una pazza con una vecchia amica.

Marco, ricordi male mi sa. Sei tu che sei sparito. Puf! Adios amgos! Dasvidanje!
Ma volevo chiamarti, volevo sentirti, volevo...
Ma non l'hai fatto.
E' complicato.
Gnaaaaaaaaa, ti prego no. Non spiegarmi, non dirmi, non raccontarmi. E' ok, è tutto ok. Non pensavo di presentarti a papà, non ho immaginato un figlio con i tuoi (bellissimi, cazzo) occhi.
Stavo con una, è per questo che sarebbe stato complicato vederti. Cioè rivederti.
Davvero, ascolta. Non mi interessa. Sei un gran figo. Ho bellissimi ricordi. E penso di avere un tuo maglioncino da qualche parte. Ma come oratore fai cacare. Sei imbarazzante. Non voglio sapere perché non mi hai risposto; perché è talmente evidente il motivo per cui non l'hai fatto, che sentirselo dire - credimi , sarebbe un'umiliazione grossa come il 3--- che presi in chimica in terza liceo.
E se adesso invece ci vedessimo? Quando vuoi, se ti va, un caffè, una pizza...

Grace, sveglia come una volpe il giorno della battuta di caccia, scuote la testolina sudaticcia. Non può fare così caldo, non è umano. Non è sopportabile, non all'una di notte, non con davanti uno che mi ha scagata per una fidanzatina che ora non ha più e che finge di non avermi gentilmente accompagnata alla porta dopo le tre (o quattro? Bah!) volte che è salito in casa. 'Grazie, e arrivederci signorina. I miei ossequi alla famiglia!'.

Marco, non per fare la stracciacazzi, ma questa conversazione non ha senso. Ti sei dato alla macchia sessanta giorni orsono, evitandomi come la guardia di finanza. Ci incrociamo per caso nella sera più calda dell'estate, puniti entrambi da Dio con 30 gradi e l'88% di umidità nell'aria, e arrotoli il nastro chiedendomi se mi va di bermi un caffè? WHY?

Marco la guarda. Ha esattamente gli stessi occhi che aveva la prima volta che l'ha guardata; gli stessi zigomi, le stesse mani, le stesse ginoccia. Nulla è cambiato da allora, quando 'ciao, sono Marco, tu?' finì in 'ehm sali da me dai'. Grace, invece, era sfattissima: sudata, struccata ormai, avrebbe giurato persino un po' puzzolente. E sì, lo guardava anche lei. E sì, avrebbe voluto anche lei.

Ho capito va... lascio perdere. Scusa se sono sparito comunque.

Coda tra le gambe, orecchie basse, tono lasgnoso. Nooo. Non ci credo. Nooo. Il carnefice è diventato vittima.

Eheheeh, no aspetta un attimo bello. Adesso non fare il Bambi bastonato dai bracconieri. Non provarci...
Grace, ho capito. Non insisto, e capisco che non sia esattamente la condizione ideale per, ecco, riprendere il filo. Nessun problema, prendo il due di picche.

Stato confusionale per Grace. Marco Coso, quel grand figlio di, rivolta l'omelette.

Ohi aspetta! No, senti, non ci siamo capiti credo. Non sono io a smollarti qui. Non sono io a fare la figa di legno. Non sono io a strapparmela. IO avrei voluto, tu no. Non fare il cagnolino bagnato sotto la pioggia adesso, non farmi passare per la zitella acida che non te la dà. Non farlo eh...

Marco, il tipo che l'aveva fatta ridere con l'imitazione di Jerry Lewis dopo averla trascinata nella sua tana, che l'aveva baciata fuori dal portone come si farebbe con le brave ragazze dopo averle accompagnate al cinema, e che aveva criticato il suo senso estetico per i pigiami ('Grace questa cosa non è un pigiama..'), aveva ripreso a guardarla.

Grace, ti va di uscire? Risposta secca please.
Sì. Mi andava di uscire cazzo.
Adesso, Grace. Adesso, ti andrebbe di uscire? Sì o no, facile.
Marco...
Grace, per favore. Rispondi.
Allora no. Non mi va. Non mi va di ammiccarti, di sorriderti, di compiacerti. Non mi va neppure di scopare, fa troppo caldo anche per quello. E non mi va di fare refresh. E, anche se sei un amabile figlio di buona donna, non mi va di giocare al gatto e al topo. Mi andrebbe invece un ventilatore, un ventaglio, una granita, un lago di montagna, un torrente, un temporale. Mi andrebbe una cosa normale, uno normale, ad una temperatura normale. Ciao adesso, è tardi e se non mi butto a letto svengo qui.

martedì 28 giugno 2011

JOHNNY BOY IS OUR KID

Mi preoccupo Sam.
Per cosa?
Per Johnny.
Johnny Boy va alla grande, Emma.

Sam fuma in veranda. Davanti un campo pieno zeppo di granturco, pronto per l’estate. Il verde intenso, poi il blu del cielo, pronto a diventare nero notte. La pace di casa, pensava Sam, è una cosa impagabile. Il fresco della veranda, fuori, mentre Emma legge l’ennesimo saggio di psicologia, è quello che il Signore Dio Nostro intendeva con ‘e adesso che è il settimo giorno, mi riposo’.

E’ sensibilissimo Sammy, scoppia a piangere per un niente, non sopporta gli scherzi dei compagni di scuola, ed è incapace di difendersi. Né a parole, né con le mani. Non fa a pugni, non si mischia. Piuttosto che sentirsi a disagio, mi sta attaccato alla gonna per ore.
Ha sei anni Emma. Non mi sembra una cosa grave…
Ho la sensazione che non voglia crescere...
Adesso per favore piantala, non dire stronzate.
Lo sento, sono sua madre. E quando mi fissa, implorante, prima di lasciarlo entrare in classe, o durante una festicciola tra amici, io so cosa significa.
E cosa significa? Dillo anche a me, cosa significa, per piacere.
Mi guarda, e non piange subito. Ogni volta è una punizione. Mi lascia la mano sudaticcia, che fino a qualche secondo prima stringeva fortissimo, poi si allontana, sceglie la posizione più difficile da raggiungere a colpo d’occhio, e da lì mi osserva. Non mi dà scampo, e non distoglie mai per primo lo sguardo. Poi piange…
Emma la tua immaginazione migliora di anno in anno cazzo. Dovresti registrarti. Anzi no, dovrei farlo io. Nessuna madre, neppure  la paziente che ho avuto qualche anno fa, quella che credeva che il figlio l’avrebbe ammazzata nel sonno a colpi di carillon, riusciva a raccontare così bene le proprie fantasie.
Che saccente del cazzo che sei Sammy. Vai a fanculo tu, la tua clinica per i pazzi, e le tue madri ossessionate. Sei un coglione… - Emma si alza veloce, urta contro la gamba del tavolo, lascia cadere il saggio di psicologia.
Signora, la prego, torni qui. - Sam urla canzonando la voce del medico di corsia, sa che Emma fa sul serio, e non sarà facile riprendere il discorso.

La cucina pulita è un sollievo per Emma, il profumo dello sgrassatore passato sui fornelli la aiuta a trovare l’equilibrio. Apre il rubinetto, bagna i polsi, strofina la faccia accaldata.
Ehi signora, dico a lei. Mi scuso per la mancanza di tatto del Dottor Sam, prima, in veranda… Sa, quando riceve a casa il dottore si fa prendere la mano. Ma ci teneva a dirle, testuali parole, che ogni sua preoccupazione lo rende molto, molto, molto infelice.

Sam raggiunge Emma di fronte al lavello. Il sole quasi tramontato riflette un raggio sottilissimo sul lavandino in acciaio. L’ultima luce del giorno aiuta i due a parlarsi con calma.

Ehi. Cosa c’è? – Sammy passa la mano sul lavandino. Mhhh, fresco.
Emma non vorrebbe parlare, preferirebbe Sam capisse senza spiegazioni.
E’ doloroso. Sento che qualcosa non va. Lo sento. Non te lo so spiegare, non ho prove, non ci sono episodi evidenti, ma a me basta guardarlo e ho la certezza che qualcosa non sta andando. Tu sei un dottore, non puoi capire…
Io sono anche suo padre. E soffro come te.
Ma allora perché fai finta di niente?

Sammy è esausto. Insieme, lui ed Emma, hanno affrontato questa discussione  milioni di volte. Eppure non sono le parole passate a pesargli, quanto quelle future. Uguali a loro stesse, pensa, forse all’infinito.

Emma nostro figlio è malato. La sindrome di Down è una malattia. Può e potrà fare tantissime cose, non gli mancheranno le occasioni, e saremo presenti come ogni genitore vorrebbe esserlo per il proprio figlio. Ti prometto che staremo attenti, vigili, in ascolto. Ma tu lotti contro i mulini a vento, hai intrapreso una battaglia impari. E questo logora ogni momento passi con Johnny Boy.

Sam fa un pausa. Sa che il carico, a questo punto, potrebbe spezzare la schiena fragile della moglie.

Ma non è un problema di Johnny. E’ il tuo problema, ora, che ti rende così. Intrattabile, perennemente preoccupata, ansiosa ed ansiogena. Lui lo avverte, hai ragione. Sente la tua paura, ma non la capisce. E il motivo, amore, è sempre lo stesso. Il nostro Johnny non sa che gli altri bambini sono diversi da lui, non conosce ancora né la parola né tantomeno il significato di ‘normale’, non si paragona 24 ore su 24 ai suoi amici. Fa fatica, è vero, non è come il compagno di banco e rimane sempre indietro nella corsa. Ma Emma, questa è l’unica vita che vivrà il nostro ragazzo. E sarà la migliore in assoluto. Lo giuro.

Emma scuote la testa, abbraccia Sam per la cintola, lascia cadere il viso sulla spalla del marito. Fuori il verde del granturco ormai è nero, si sentono i grilli, le zanzare pungono. Johnny Boy dorme, la sua giovane mamma ritrova un po’ di serenità, il papà veglia su entrambi. Buonanotte.

domenica 5 giugno 2011

APPLE PIE

E' facile?
No.
Ma posso imparare?
Certamente.
Mi insegni?
Guardami.
E basta?
Chiedimi.
Quando voglio?
Trova il momento.
Come?
Guardandomi capirai.
E se sbagliassi?
Mi faresti arrabbiare. Ma non esiste altro modo.

Ricordo questa conversazione, perché è stata una delle poche avute con mia madre, Charlotte. Portava i capelli raccolti in una foltissima coda di cavallo alta e stretta. Un cerchietto spesso, color verde acqua, per non lasciar cadere neppure un ciuffo. Le mani nella pasta molle e appiccicosa, color giallo uovo. Il sorriso del sabato mattina. Non ho mai imparato a fare la torta di mele, ma so chiedere aiuto quando ne ho bisogno. Sintonizzando il tempo, trovando il ritmo, senza provare vergogna, umiliazione o inadeguatezza. Sono diventata moglie e madre dopo una lunga ricerca, che oggi continua ma non più in solitaria. George l'ho scovato dopo un po' di tentativi, senza avere una direzione precisa. Lui sbaglia ogni volta che non si ricorda quanto zucchero voglio nel caffè. Anzi, neppure me lo chiede se voglia il caffè a dirla tutta. Non capisce se il mal di testa è dovuto al lavoro, ai bambini, o a lui. Così chiede scusa quando non ce ne sarebbe alcun bisogno, e fa casino quando dovrebbe calmare la bestia. E' di indole calma, ma so come farlo incazzare. Quando litighiamo mi scaraventerebbe giù dal balcone, direzione tangenziale. Ci diciamo le peggio cose. Poi uno dei due decide che basta, adesso facciamo pace.

E' sempre bello, nonostante i capelli non siano più ricci come un tempo e il sorriso non sempre pronto. Mi guarda meno, forse perché mi vede sempre. Non esterna in pubblico, abbraccia poco, bacia ancora meno. Credo sia imbarazzo. Educazione. Senso del pudore. Riservatezza.

Non c'è nulla di speciale in lui, se non quando mette su i Kings of Leon, una volta ogni tanto. Sa che mi piace, e saperlo mi rende felice. Di quella felicità scema, che supera ogni tipo di lista possa mai fare per decidere di lasciarlo. O di odiarlo perché non sa quante zollette voglia nel caffè.

lunedì 30 maggio 2011

Big girls don't cry

Una storia di fine primavera anomala. Per il caldo e gli acquazzoni estivi a Milano.

Ciao tu, sei nuova? Dov'è la tua mamma? Sei venuta sola? Ma ti ha lasciato l'autorizzazione firmata... ce l'hai eh?

La guerriera è infastidita al 'ciao tu'. Sospira, socchiude l'occhio blu mare, deglutisce, morde il labbro inferiore, muove il nasino su e giù, fa il palloncino con la Big Babol. E' stata eletta, ha vinto democraticamente, sarà avanti a tutti, dovrà spiegare e portare pazienza.

No, non sono nuova. Sono della seconda D, come Domodossola. E sono qui da sempre, da quando non mi cacava nessuno per darle un'idea più precisa. Poi il tanfo si è alzato, un giorno di non ricordo quale anno, e io avevo con me mollette per tapparsi il naso. Non sono particolarmente dotata, non sono trasandata apposta, non sono una gatta morta. Mi hanno scelta loro, credendo sia facile ora. Sbagliano, ma non glielo dirò. Adesso saranno cazzi. Lacrime e sudore, ciccia. Messico e nuvole, la faccia triste della rivoluzione. Dovrò fargli capire che non organizzerò concerti gratis ogni fine mese, e che qualcuno dovrò farlo incazzare. Lascio che festeggino, perché sudati mi piacciono di più. Da domani tutti a novanta. La tera l'è basa (la terra è bassa) dicono in mezzo alla piana. Avrei evitato di farmi il mazzo, ma qui intorno ci sono troppi agnelli da fare crescere, e i lupi non li ho ancora scovati tutti.

Pausa di silenzio, sorriso aperto, brufolo adolescenziale alla luce del sole.

Essere così consapevole è una tortura. Ha reso la mia vita sempre più complicata, non sono mai stata capace di non capire prima, intuire, cogliere. Non sono intelligente, ma emotivamente sviluppata. L'insignificante qualità congenita è diventata lo scudo dietro il quale ora tutti si riparano. Il sole picchia porca boia, e capisco che i più vogliano riposarsi. Dovrò lasciarli cadere invece, levare il riparo, spingerli a camminare. Ripeto, faremo molta fatica e solo essere amorevoli ci renderà migliori dei nostri padri. Amo tutti, ma torturo senza sforzo all'occorrenza. Non perdono, non sorrido alle telecamere, ma accarezzo sempre i cagnolini a bordo strada. Scodinzolare è un segno di empatia, non crede?

domenica 22 maggio 2011

Clara's Letter

Presa da delirio di onnipotenza, sopravvaluto di certo le mie capacità da giovane Salinger in minigonna.
Un po' come fece lui, Clint 'Fucking' Eastwood (cit. da uno status di un amico mai dimenticato. Genio!), girando 'Flags of Our Fathers' prima e 'Letters from Iwo Jima' poi, in questo post sono Clara, moglie di Alberto:uomo, marito, padre di queste storie 
SE FOSSI UN UOMO (PARTE PRIMA)
SE FOSSI UN UOMO (PARTE SECONDA)

Se credete stia esagerando, fermatemi prima della trasformazione dell'acqua in vino.


Alberto,
ti chiedevo ieri a che ora saresti uscito per andare a prendere quelle cose (non so quali, ma delle cose) che avevi dimenticato a casa di tuo fratello qualche giorno prima. Mentre te lo chiedevo, mi sono sentita male. Più del solito. Lo stomaco chiuso, il senso di nausea, il fiato corto. Le mani sudate, il formicolio improvviso, la voce spezzata. Avrei voluto piangere, davanti a te, in pantofole. E poi ridere, perché quella scena era troppo ridicola anche per una come me. Invece non ho né pianto, né riso. Ho immaginato una vita fatta di cose che non fossero solo tue, ma soprattutto mie. E non ho visto nulla.

Sono infelice Alberto, lo sono da tanto. E tu fingi di non vederlo. E io non sopporto la messa in scena.

Continui ad amarmi come quando alzavo la mano durante le lezioni di Estetica e mi fissavi il seno sotto la maglietta. Con gli stessi occhi mi chiedi di starti vicino, con le stesse mani mi abbracci durante le feste comandate, e con le stesse parole mi fai ridere fino al soffocamento.

Ebbene: le lezioni di Estetica sono lontane, i tuoi occhi vedono quello che immaginano, le tue mani mi spingono con amore, ma non aspettano. E le tue parole sono sempre uguali. Credi di capirmi solo perché accenno un sorriso, ma una fossetta, per quanto carina, rimane muta.

La mia fragilità ha finalmente il sopravvento.
Mollo il colpo, lascio la presa, rilasso la mandibola, abbandono il campo da gioco.
Peccato sia tu a pagarne il prezzo più alto.

sabato 21 maggio 2011

Se fossi un uomo ... (parte seconda)

Torniamo ad una storia passata.
Se fossi un Uomo, un Marito, un Padre
Che ho molto a cuore, e che maneggio con cura. 
E' faticoso scriverla, sebbene immaginarla sia stato molto semplice. 
Scrivo, leggo, cancello, riscrivo. Una, due, tre volte.
Come tutte le storie, leggetela con amore. 


Dopo Lidia, arrivarono Giulia, Elena e Maddalena.
Lidia, la maggiore, testarda e cocciuta. Anni 27, lavoro precario. Fidanzato “c’è, non c’è”. Voleva fare l’avvocato. Quindi Legge. Praticantato. Esame di Stato. Poi cambio di rotta forzato:  abbandona il prestigioso studio, aspetta un figlio. E’ di Giacomo, solo che Giacomo non lo vuole. Lidia si procura l’ennesima cicatrice, Giacomo puf! sparisce, Lidia torna a stare con me e Clara, e diventa mamma.
Giulia, la seconda, anni 24. Operaia in fabbrica dall’età di 19, appena finito il liceo. Il tempo di un’estate in Grecia con i compagni di classe, poi turnista per 8 ore al giorno. Per scelta sua, che si annoiava sui libri, che andava al cinema per pomiciare con il suo amore di sempre, Marco, e che sorrideva come Clara: gengive in mostra, fossetta sinistra pronunciata, occhi strizzati. Amava Marco, e questo le bastava. E questo bastava anche a noi. La nostra seconda figlia, quieta e gentile, romantica e sognatrice, sapeva quello che voleva, trovava sempre le parole per comunicarlo, convinceva con la pacatezza del suo sorriso.
Elena, la terza, 23 anni di pura stronzaggine. Sembrava una zingara, una gitana. Per Laura, la nonna paterna, non era neppure figlia mia. Clara non si scomponeva:” Oh Signora Laura, ma come. Non vede, è uguale a lei. Bella come lei, con lo stesso carattere. Certo che è figlia di suo figlio”. Capelli sciolti e lunghi, scuri come la terra bagnata dopo il temporale, ma soprattutto occhi languidi. Sempre e comunque, anche con il postino al mattino, diceva nonna.
Maddalena, 15 anni. L’ultima, non cercata, arrivata nello stupore generale. 
Sono incinta. 
Tu cosa?
Sì, come le tre volte prima. Hai presente, ricordi? E sinceramente non so se io ... 
Non sai cosa scusa? 
Se lo voglio, adesso, così, di nuovo, ancora. 
Stai scherzando? 
No che non scherzo. 
E se fosse un maschio stavolta, eh!? Non sei curiosa di vedere se finalmente ci riesce l’erede al trono? 
Dai scemo… 
No, dai tu. Cosa c’è? Cosa non va? 
Ma Alberto! Ma cazzo sono passati quasi dieci anni dagli ultimi pannolini, e se ci penso sono ancora stanca. Finalmente siamo noi due, finalmente le ragazze sono grandi, finalmente… 
Finalmente avremo un figlio. 
Non hai ascoltato una parola di quello che ho detto.

In aprile nasce Maddalena. Non un erede al trono, non un moschettiere, non uno Zorro. Ma per me è uguale, la cullo di notte, la cresco come le altre. E Clara si ammala, da subito. 
Quella bambina, per lei, è un peso. Non la voleva, non la vuole, non la vorrà. Tiene duro però, la accompagna a danza, la porta in piscina, le ricama il nome sulla biancheria da campeggio, le corregge i compiti.
E' fatta di roccia la mia sposina: moglie e madre, master and commander. Regge. Resiste. 
L'avevo scelta per questa sua inspiegabile qualità: più duratura della bellezza, più affascinante dell’intelligenza, più travolgente dell’ironia. Mi convinco che non ci sono figlie che Clara non possa sgridare, pulire, sistemare, abbracciare.
Lascio che Maddalena la sfinisca, le tolga il sorriso, le rubi le parole. La piccola diventa grande, Clara diventa cattiva. Discutiamo, la faccio piangere, mi fa imbestialire. Una , nessuna, cento sere. A ripetizione.
E così, scelgo di non curarmene. Lavoro sodo, rido altrettanto, non lascio spazio al dolore di mia moglie. Che mi guarda, non mi perdona, e progetta la fuga. 

Clara se n'è andata una mattina che non saprei dirvi se più o meno calda delle altre. Non ricordo come fosse vestita, non so neppure se avessimo litigato la sera prima. Non ho notato segnali, non ho capito un cazzo. Mi è scivolata tra le mani, mentre guardavo la televisione, guidavo verso casa, leggevo il quotidiano. Continuo ad amarla molto, pur non capendo il perché.

mercoledì 18 maggio 2011

Fonzie

Si si si. Tutto bene, il tempo bene, il lavoro bene, la casa bene, la salute bene. Dimmi la verità, non ti annoi anche tu? Non mentire eh, lo so che siamo una palle spaziale, megagalattica, ipercosmica. Oh io mi annoio, io sono giovane, io ho il sangue pulsante. E io non ho tutta la vita davanti. Solo un pezzo. E il meglio, tesoro, sta per passare. Adesso rido senza pensieri perché la percentuale di idiozia giovanile ancora ha il sopravvento. Ma tra poco lo so, sarò peggio di mia madre: metti a posto, hai stirato, dividi i colori, scusa ma la polvere ti dovrebbe pagare l’affitto.

Voglio mangiare sdraiata sull’erba, puzzare di estate, macchiarmi i jeans di verde, e abbaiare a un pastore tedesco (il mio, nome ‘Cane’) che ci gira attorno e punta in nostri panini con la bologna. Voglio bere vino rosso di pessima qualità e dire che ho mal di testa. Voglio che tu mi faccia passare il mal di testa, lì, sul prato/ in estate/ con Cane che si finisce la bologna.

Nessuna borsa firmata, nessun anello, nessun sandalo pregiato. Nessuna lampada abbronzante, nessun centro benessere per San Valentino. Guarda, lasciamo perdere persino le cene a lume di candela. Ingurgitiamo chili di carnazza al buio e siamo felici uguale.

Evitiamo anche i viaggi costosi. Mettiamo un filmino dei tuoi negli anni Ottanta, dove sfrecci in triciclo attorno alla Renault4 di tuo nonno, e fingiamo di essere addirittura in un’altra epoca. Movimento spazio/ temporale a costo zero. Se vuoi io canto Mick Jagger e tu fai le linguacce. O viceversa. Tutto quello che vuoi, ma ti prego mettiamo fine allo scambio edulcorato di convenevoli. Rita Levi Montalcini tifa per noi, e temporeggiare a oltranza non sarebbe corretto. Il 22 aprile scorso ha spento 102 candeline. E i casi sono due. O è un highlander, a non ci sono problemi. O le darai un enorme dolore se non le regali almeno il gol entro i primi 45 minuti.

Dai cazzo.

colonna sonora suggerita:
http://www.youtube.com/watch?v=Kpa9LtunUcg&feature=share (grazie a blondie non più blondie, ma sempre di grande ispirazione)

domenica 15 maggio 2011

And People Say Our Babies Are Walking This Town (cit.)

Siamo forti. E ce la possiamo fare. E lo faremo insieme.

Saremo cattivi coi cattivi, animati dal medesimo sdegno verso i codardi ingentiliti dal marketing. 
Amorevoli con gli umili. Coraggiosi contro. Amanti instancabili. Soldati dalle spalle larghe, in fila per il rancio, pazienti dopo la battaglia. Masticheremo tabacco, fumando col nemico conquistato ma non umiliato. 

Il nostro inizio sarà fragoroso. E sarai sbalordita. E sarò colpito a morte. E ti avvicinerai, guarendomi col pensiero. Trovato il varco, sarà l'ora dell'amore condiviso. Vigoroso, insaziabile, stoico.

Non ci faremo favori, non troveremo compromessi, faticheremo. 
Ci aspetteremo molte volte in silenzio. Braccia conserte, gambe penzoloni sul molo, piedi nudi a filo d'acqua.
Tirerà vento, il sole sarà una palla rossa dietro la linea dell'orizzonte, la pelle scottata, il mare salato pronto per il nostro battesimo. Da quel momento saremo due, e questo lo chiameremo 'amore'.

Non ci muoveremo sempre l'uno verso l'altro, non tracceremo la retta via per i nostri figli, e ci perderemo anche. Non sapremo cosa fare, ci lasceremo. Sfiniti, deporremo fucili e corde. 
Da soli sopravviveremo meglio. Bacche, acqua fresca, mirtilli. Non dovremo pensare l'uno all'altro, e saremo felici. La solitudine rinvigorirà un sentimento che credevamo svanito. Persi, ci ritroveremo. Sbattendo l'uno contro l'altra, nella notte ci riconosceremo. Ci saluteremo cortesi, e avremo due strade a quel punto.

Lasceremo perdere, e proseguiremo.
Uno di noi sarà migliore dell'altro, e dirà 'Finalmente posso dirtelo. Scusa'.

lunedì 2 maggio 2011

Non vive sperando colei che agisce nel bene

La guerriera di cui vi parlerò è molto giovane. Ha tredici anni, è alta un metro e quarantacinque, pesa una quarantina di chili. Prende i mezzi pubblici, porta i jeans, torna da scuola alle due, e non deve studiare questo pomeriggio. Ha preso sette nel compito, quindi la prof di Arte non la interrogherà domani. Si mischia agli adolescenti comuni, ma i tratti del suo volto non tradiscono. E' bella, come solo le ragazzine struccate sanno essere. Le imperfezioni del viso, conseguenze non dell'amore, ma dei primi sbalzi ormonali, sono costellazioni sconosciute. Inesplorate. L'occhio blu mare è protetto da due folte sopracciglia. Nessuna pinzetta si è avvicinata a quei sottilissimi e scurissimi peli, le servono. Sono l'ombra che ripara, il confine dei suoi pensieri più nascosti, la linea che nessun samurai oltrepasserebbe. Lo sguardo severo sorride solo all'amica fidata, compagna di classe, di origini asiatiche.

Hai presente quel ragazzo di terza?, incalza l'amica.
Quello grasso? risponde la guerriera.
Mh mh, lui sì. Mi prendeva in giro per la erre.
Cioè? (attenzione al massimo, puzza di bruciato alle porte)
Pensava fossi cinese. E sai, i cinesi non dicono la erre. E lui...
Che idiota (nessuna esitazione, sincero disprezzo).
Sì, e pensa che abita vicino a me.
Che culo (sdegno amaro, sarcasmo naturale).

La guerriera morde l'interno della bocca. Maltratta le mucose continuamente, senza sosta. Arrotola la lingua, preme le labbra. Non trova pace, l'imbecille ciccione incapace di produrre insulti più fantasiosi di 'involtino plimavela signolina' sarà giustiziato. Gli strapperà il cuore, poiché il suo cervello non ha valore. Gli taglierà il girovita XL, impossibile da abbracciare. Gli caverà quelle scarpe firmate e puzzolenti, e lo appenderà a testa in giù. Nel piazzale della scuola media, l'indomani, tutti sapranno che l'era dell'ignoranza è giusta al termine. Nessun sopruso verrà lasciato impunito, e nessun pezzente acefalo troverà nascondiglio sicuro. Da Affori alla Bovisa, gli scemi verranno stanati nelle loro case.

La guerriera si alza, il tram frena, l'amica la bacia sulla guancia.
A domani.
Ci vediamo domani sì. Ciao.

Questo scricciolo un giorno sarà una donna intelligente, forse sindaco di questa città, che spero si salvi dagli scemi. In questa o nelle prossime vite.


lunedì 25 aprile 2011

AVERE 30 ANNI

Sono stato in Grecia sai. Non al mare, sebbene il fisico portentoso me lo permettesse, ma per combattere.
Avevo ideali, che ho trasformato in azioni. 
Ho avuto paura. Non delle cose di cui puoi avere paura tu oggi. Ma di morire. Di non tornare. Di non rivedere le trecce scure di tua nonna. 
Mi sono divertito molto. Con le ragazze greche, coi compagni soldati, persino da prigioniero. Non mi rimproverare adesso. Sarebbe stato insopportabile altrimenti, credimi. Insostenibile. Sapere di fare la cosa giusta non basta, quando hai un fucile in mano. E la paura di non avere un futuro, a trent'anni, è la peggiore delle cose che abbia mai provato. 

Ho sempre avuto un'idea, e mi piacerebbe sapere se anche tu, adulta, hai maturato la tua.
Il comunismo che ho vissuto io non era totalitarismo. E  il  PCI che ho sostenuto era fatto di sezioni, dibattiti di paese, palchi montati con assi di legno dopo una giornata di lavoro. Presumo di essermi inimicato un po' di persone, sposando una bellissima e cattolicissima figlia di Maria. Tua nonna, cristosanto, era tanto devota quanto eccitante per me. E la sposai in chiesa. Io rosso, lei bianco candido.

Con gli anni sono invecchiato, e se c'è una cosa che ti invidio ora è la giovinezza. Ah signore, sai cosa vuol dire avere lo spirito di un pugile e le gambe di una gallina? Vorrei trainare un aratro, sollevarti con forza, scuotere un pensiero fisso e inutile che hai. Non sei venuta al mondo per osservare il corso degli eventi inerme, ma per fare sentire la tua bellissima voce.

Non devi sopportare, non devi lasciar correre. Non azzittirti per evitare un rimprovero. Non dilungarti in stupidaggini, e non perdere il punto. Procedi da sola se è necessario. Informati, ma non sovraccaricare il sistema. Avere Internet è utile, ma io ho conosciuto il mondo attraverso gli uomini e le donne che ho incontrato.

Quella guerra lontana, che tu hai studiato solo sui libri, è stata parte della mia vita. Così è capitato. Potendo, lo avrei evitato. E non ho combattuto per la tua libertà, sappilo. Ma per la mia e quella di tua nonna innanzitutto. Tu neppure esistevi, e non sapevo saresti uscita così bella. Volevo un mondo migliore in cui stare, e soprattutto fare l'amore come ogni trentenne. 

sabato 23 aprile 2011

DIO ESISTE E NON SEI TU. RILASSATI.

Ogni tanto osservo imbambolata con il click del mouse ossessivo compulsivo (avete presente? click - scroll - click click - scroll. Poi ancora click) le foto che quel genio di Scott Schuman pubblica sul famoso/ celebre/ top class blog che tutti citano, sorseggiando il loro Negroni. THE SARTORIALIST - copio incollo - 'Selected as One of Time Magazine's Top 100 Design Influencers'. Questo perché non potrei mai fare il suo mestiere. Vi spiego il motivo.

Non individuo le tendenze. Non le vedo neppure passarmi accanto. Vengo beffeggiata dalle amiche per come (a volte) ho il coraggio di vestirmi. E sfoglio le riviste perché, esattamente per la stessa ragione per cui perdo tempo nel reparto bagno al supermercato, tutti quei colori, quelle cose belle, quelle linee e quelle modelle pettinate e lucidate mi rimbambiscono. E più sono in tenuta 'tuta, capello me lo lavo stasera, rimmel ops dimenticato, anzi mi sa finito', più mi esalto. 

Questo perché essere carina una sera è piacevole, fare mix and match davanti all'armadio spalancato divertente, soffrire sui tacchi stoico. Ma l'incostanza è una della sette qualità che mi contraddistinguono, la spavalderia, poi, non ne parliamo. 
Essere fiche è un lavoraccio. 'Na fatica. E quindi mi ripeto quello che ho letto ieri in pausa pranzo, in un bar. 'Dio esiste e non sei tu. Rilassati'. 
Non incontrerò mai Scott Schuman nella mia vita. Continuerò a controllare il suo blog a distanza, con l'assoluta certezza che ognuno si veste come gli piace, lo stile è una fede, e ciascuno scegli il proprio culto.

Se finisci per caso fotografato/a su questo blog http://thesartorialist.blogspot.com/, quindi, non devi strappartela. E' fortuna. Culo. Caso. Anzi no. E' che Scott non mi ha incontrata prima, mentre gironzolavo in tuta e molto molto molto rilassata. 

ps. Questo post è dedicato all'adolescente che ero. Insicura davanti allo specchio.

sabato 16 aprile 2011

PER DONNE CON LE GONNE_Il primo passo/ dichiarazione standard

Ciao XXX (inserite il nome/cognome del ragazzo in questione),
mi piaci.
Cioè tu, e non un altro. Lo so, non ci credi eh? Cazzo neppure io. Io, che uso prepotentemente il pronome personale soggetto sebbene la mia lingua madre ne consenta l'omissione. Io, che in questo momento mi sento un po' Vasco che biascica 'una canzone per te/ non te l'aspettavi eh'. Io, che ho tanti pregi piccolissimi, e qualche difetto gigantesco.

Adesso non esaltarti, non sollevarti dal suolo, non assumere l'espressione di Rafa Nadal con lo slip Armani.



Ma ti prego, non ti allarmare neppure. Non ho armi con me, la cavalleria non ha ancora passato le Alpi, e (volendo) riesco a essere gentile. Cortese, come l'amor. Dolce, come lo Stil Novo. Certo, sarebbe una forzatura, e dopo qualche tempo la bestia ringhierebbe dietro la gabbia rosa confetto. Però, bel ragazzo, è a quel punto che ci potremmo divertire insieme. Tu educato, mentre mi apri la portiera della Mustang. Io spaziale, saltando pie' pari nella prima pozzanghera a disposizione. Splash! 'Miiiiii Madda, mi hai sporcato perbacco' / 'Dai che così sembri Pongo della Carica dei 101. Abbaiami grrrrrr ;)'.

Come? Cosa dici? Che cosa mi piace di te? Vanesio! Non lo so, non ho una lista con me. Sei interessante, ma non come un documentario di Alberto Angela. Sei buffo, diversamente da Mister Bean. Sei anche caruccio sì, a tratti arrapante proprio. Però sempre meno di Rafa Nadal in mutande, chiariamoci.

Non arriverò mai a fare QUESTO per te. Ma in fondo neppure tu giocherai mai agli Australian Open.

Ci vediamo in giro / ci sentiamo / ci chattiamo (scelta opzionale). Ciao!

NB. A questo punto, care ragazze con le gonne, avrete fatto il primo passo. Se vi toccherà compiere anche il secondo, significa che non c'è corrispondenza di sensi amorosi. Mettetevi un bel vestito, rotolatevi nel fango pensate a Nadal.

sabato 9 aprile 2011

Se fossi un uomo, un marito, un padre (prima parte)

Provo a raccontare una storia scrivendo come se fossi un uomo. Un signore, un pater familias sulla sessantina, con quattro figlie e nessuna moglie. Ho conosciuto l’emozione di dire ‘sì, lo (ti) voglio’, mi sono sufficientemente preoccupato per il mutuo della casa, ho discusso molto con la donna che ho amato, sono stato serenamente sdraiato sul mio divano in attesa del rientro di una delle creature col mio cognome.
Ricordo che ogni settembre, con la riapertura delle scuole, le ragazze tornavano abbronzate e svogliate in città, mentre io e Clara – mia moglie, ricominciavamo a lavorare nei nostri studi. Siamo stati sposati per  molto, e potremmo raccontare altrettanto di noi. La nostra storia si è interrotta un giorno ics del calendario, quando Clara decise di lasciarci.
Non ne poteva più: troppi weekend passati alle feste degli amichetti delle bambine, troppi vestitini da lavare, troppe gare di atletica e saggi di danza, troppe gite fuori porta al mare con mia madre, la Signora Laura.  Una marea di mamme e poca gente nella sua vita. Così ha deciso, “prendo tutto, scrivo una lettera ad Alberto (io), che comunque non capirà, e vado via”. Sapeva che sarebbe stata odiata per quel gesto, perché non si possono abbandonare quattro figlie ed un marito, ma lei non voleva più stare così. Si guardava attorno, la sera, dopo che tutti erano a letto e io dormivo davanti alla tv. Erano solo le dieci, e non le sembrava vero di dover pulire un’altra volta i piatti, passare la scopa, alzare le sedie, portare fuori la spazzatura, preparare la colazione per le piccole, e poi addormentarsi al mio fianco come la notte prima. Non respirava sdraiata al mio fianco, accanto all’uomo che l’aveva conquistata portandola al Circolo dei Poeti Maledetti, dopo le lezioni di Estetica del martedì mattina. Se mi osservava dormire rivedeva la cicatrice che mi ero fatto in campeggio, al mare, quando Lidia aveva solo 2 anni e la tenda non si voleva montare. Orgoglioso le dicevo “Ce la faccio Cla, che credi scusa… due tubi e un telo. Porca troia…”. Il tempo di concludere la frase, e mi infilavo il tubo, uno dei due, appena sopra l’arcata sopraccigliare. Un centimetro più in basso e si ritrovava un marito senza un occhio. Un pirata. Mmmh. Un pirata. Che ridere dio santo, pensava Clara mentre mi guardava respirare profondamente nel mezzo della notte. Un pirata, Alberto. Un tempo sì, forse. Oggi no, oggi vive per le sue figlie, ne va orgoglioso; e Clara, un tempo “Amore”, “Testina di Vitello”, “Pasticcio”, “Piccola Merdina”, era diventata solo la madre delle sue quattro bambine, ormai ragazze. Eppure lei non si sentiva madre, non quella sera. Le mancava parlare con me come quando facevano colazione, in campeggio, mentre Lidia correva per le piazzole con gli altri bambini smutandati. Lei e io in costume, assonnati, bevevamo caffè e mangiavamo il pane appena comprato dal fornaio, con la marmellata del supermercato. Fantasticavamo sul futuro di Lidia, così rumorosa e maldestra. Cadeva in continuazione: due anni e già tre cicatrici. Sarebbe stato un miracolo se fosse arrivata alla prima elementare con entrambe le gambe, commentava Laura, mia madre. “Mamma, Lidia arriverà anche strisciando a scuola, ma ci arriverà. Non ti preoccupare, al massimo le mettiamo due rotelline rosa, così non starà indietro all’entrata...eh?”. Clara mi amava molto quando sfottevo le preoccupazioni di mia madre per Lidia, e in silenzio le rispondeva con un sorriso, senza dire nulla. Io le accarezzavo la schiena con la mano aperta, mi fermavo sulla sua nuca, e la scuotevo piano, poco. Un gesto abituale, più intimo di ogni cosa avessimo mai fatto insieme. Significava “Lo so, mia madre non si sopporta. Lo so, è irritante. Ma tra qualche minuto lei se ne tornerà a casa sua, lasciandoci soli. E Lidia potrà farsi un’altra cicatrice”.

venerdì 1 aprile 2011

WE ARE BORN TO BE LOUD. Eccetto i giovani piddini

Non scrivo di politica, tanto meno di politici. Faccio un'eccezione. Sebbene sia venerdì sera.
Prima di andare a bere, ballare, fumare, cazzeggiare e fare all'amore selvaggiamente leggete cosa penso. 
Poi sì, liberi tutti.

Articolo tratto da 'il venerdì' di Repubblica di oggi, 1 aprile 2011.
Pagina 47.
Titolo:
La Innocenzi e il PD junior di nuovo ai ferri corti
Svolgimento:
A tre anni dalle primarie dei Giovani democratici, Giulia Innocenzi torna ad attaccare il segretario dei piddini jr Fausto Raciti. Sul suo blog, la spalla di Michele Santoro ad Annozero annuncia il successore di Raciti: Andrea Baldini, attuale responsabile dell'organizzazione dei Gd. Una decisione già decisa, a suo dire, tanto che Innocenzi invita a vigilare sul congresso di ottobre affinché "non avvenga il fattaccio di tre anni fa, quando il già designato Fausto Raciti vinse con afflussi elettorali quantomeno bizzarri ('Milano 800 votanti, prima io. bari 8000 votanti, primo lui')". "Basta, è una polemica vecchia", sbuffa l'accusato. Raciti si stupisce della premonizione sul congresso "di cui non è stata neppure decisa la data" e lancia frecciate alla Innocenzi: " Io non ho altri incarichi, né milito in altri partiti". La frecciata consiste nel fatto che la Innocenzi è iscritta anche ai radicali e milita pure nella fondazione Italia Futura di Luca Cordero di Montezemolo. (r.bian.)

Sono tutta un fremito. Non contengo il piacere. Ho la conferma che sì, il PD non ce la farà mai. Nuove leve sono pronte. Ci sono menti giovani e fresche in arrivo dalle aule universitarie, dai congressi, dai circoli.
Si fanno le pulci. Contano gli spicci avanzati sul tavolo. Ricordano ed elencano ogni torto subito. Annotano l'uno le mancanze e i difetti dell'altro. Rimembrano, come Leopardi chiedeva di fare a Silvia. Sono l'alba di un nuovo giorno, uguale al tramonto di quello (non ancora) finito. E sono già tra noi. 

Nota a margine. Non so cosa sia, però sento un fetore allucinate mentre scrivo questo post.