martedì 30 settembre 2014

L'autunno di Queen Bey

Ciao lettori

Torniamo da Vivienne.
Se avete perso il punto, eravamo fermi qui.

Enjoy.


La stavo cercando tra la folla agli Arrivi. Una testolina rotonda che spiccasse tra le altre, sulle spalle del gigante a cui l'avevo lasciata; questa era la scena come l'avevo sognata molte volte. Invece era in piedi, sulle sue gambe!, con un paio di stivaletti neri di pelle e i lacci di stoffa rossa, le calze collant piene di grinze perché un po' troppo grandi, un abito blu che le fasciava la silhouette da panda che ricordavo. Era diventata alta, occhio e croce +5 cm, aveva un caschetto appena accennato, e la mano stretta in quella del gigante, alla sua sinistra. Stavano parlando tra di loro, e lei cercava di schiacciare con i piedi qualcosa sul pavimento. Una formica, una cicca, un mozzicone. 'Guarda Vivienne, la mamma è arrivata'. Mi ha rovinato l'effetto sorpresa, ma è stato un gesto gentile e delicato, poiché non era il caso di agitarla con razzi e fuochi d'artificio.

Il tempo di metterla a fuoco e avvertii le gambe spezzarsi come la migliore pastafrolla, senza kleenex a portata di mano e con molta emozione a fior di pelle ormai. Devo averle fatto spavento, perché si è aggrappata alla gamba del gigante, nascondendosi dietro di lui. Un tempo lo facevi anche con me, dissi senza pensarci, e mi morsi la lingua. Ma cazzo!, l'hai mollata e la prima cosa che riesci a fare è rimproverarla!?

Ma la mia bambina prese coraggio, e quando sentì la mia voce spostò il capoccione, sempre ancorata alla gamba del suo papà. Ciao Vivienne: smisi di piangere e decisi che, tra le due, sarebbe toccato a me parlare. Ciao Vivienne, sono... Sono la mamma. Ho provato vergogna nel sentirmelo dire, ad alta voce nel mezzo di un aeroporto: 'sono la mamma che ti ha lasciata' sarebbe stato più onesto. Continuai il mio breve monologo, a braccio e senza suggeritore.
Vivienne vieni qui, fammi vedere come sei diventata grande. Che belle scarpine, e quanti capelli amore.

Alla sua altezza, inginocchiata ai piedi del gigante, le tesi le braccia: avevo una voglia matta di stringerla, ma lei aveva il suo gigante a farle da scudo e io solo le mie parole per convincerla.

Sei stata al mare? Hai visto i pesci, si? Oooh, che bello! E hai preso il sole? Hai messo la crema? Hai contato i sassolini? Buono il gelato, mh!?
Ero imbarazzante, ma evidentemente funzionava: Vivi mi rispondeva muovendo la testa, e un paio di sì li ha pronunciati. Si era staccata dal polpaccio del gigante e gli ciondolava al fianco, guardandolo ogni tanto, tra un cenno e l'altro. Lui le sorrideva, e non si intrometteva.

Le mostrai un piccolo gioco, che riproduceva alcuni suoni e luccicava se lo agitavo. Un'esca, okay, ma ero in buona fede. Provai a darglielo, e lo prese senza complimenti, avvicinandosi a me, che stavo ancora in ginocchio. La abbracciai d'istinto, delicatamente ma senza rifletterci. E lei mi lasciò fare, come solo una figlia che riconosce la madre permette di fare: raccolse le sue braccia attorno al mio collo, incastrando le mani tra i miei capelli, spingendomi indietro, aggrovigliando le gambe e le collant alla mia vita. Non mi punì e, forse anche lei istintivamente, si lasciò andare.

Mi alzai con lei attaccata al corpo, e il gigante ci aiutò a non cadere nello sforzo. Lo guardai bene, per la prima volta dall'atterraggio, ma per lui non avevo alcun giochino, e mi chiesi come avevo fatto a non pensarci prima del decollo.
Tenevo lei stretta e provai a ringraziarlo, ma mi anticipò, stringendomi a sua volta. Sembravamo una matrioska, uno dentro l'altro, e il momento sarebbe stato lirico se Vivi non avesse accennato un motivetto AAAll the siiingle laaadiesss, aaall the siiingle laaadiesss che smorzò la tensione, e fece ridere il mio compagno che mi spiegò all'orecchio 'Non sono abbastanza pop per farle ascoltare certe canzoni, ma ho pensato che una al giorno non le avrebbe fatto male. Mi sono ricordato che avevi programmato la sveglia con Beyoncé, così ce la siamo portata con noi questa estate. E indovina cosa canta dalla mattina alla sera?'. 'Faccio danni anche se non ci sono!'. 'Bah, non direi. Se è intonata e ha senso del ritmo ci facciamo i soldi con questa babykiller'.

Non finì qui, a casa ripescai uno dei miei dischi preferiti (What's The Story) Morning Glory? e iniziò l'autunno anche per Beyoncé.

giovedì 18 settembre 2014

Scream if you wanna find a signorino

Ciao lettori

Cielo grigio sulla penisola, California in my very eyes, un po' di sanissimo sentimentalismo pop(olare) e - nelle intenzioni almeno - un brivido di emozione sul traguardo. 

Enjoyyy!


In questa discoteca riesumata dagli anni Novanta Claire si aggira timorosa e con la vescica piena: Oddio, ti prego, fammi trovare il bagno delle signore. Ogni tanto usa i nonnineologismi: bagno delle signore, per tutti i numi!, avete un fax a cui inviare il reclamo? Frasi che nessuno della sua generazione saprebbe più impiegare in una conversazione come in un'altra, ma che pronunciate da Claire risultano piuttosto normali.
E' la fila per il bagno delle signore questaaa?
La facciamo tutti insiemeee, signore e signoriii!
Ahhh, okayyy, grazieee!
Urlano tutti perché altrimenti non ci si sente, e la cosa diverte Claire: le è sempre piaciuto urlare. Desidero ardentemente divertirmi come non mi sono mai divertita stasera, al diavolo ('al diavolo'!!!) la vescica a forma di palloncino e il bagno in comune. Dopo un quarto d'ora, e alleggerita, è di nuovo ad un'altra coda. Cosa vuoiii? Ehm, gin toniccc! Silenzio e dopo tre minuti gin tonic in mano. Quando ci si inizierà a divertire qui, quando entrano i giocolieri o le cubiste, quando la gente si stacca dal muro, quando si comincia a sorridere: Claire finisce praticamente il drink, in preda alle domande e al dubbio insorgente che, maybe ma maybe, non sarà così facile divertirsi come non mai, stasera.
Sarebbe a uno sputo dall'analisi antropologica dei suoi compagni, quando nota uno che sorride in fondo, vicino al bagno comune per signore e signori. Che faccio? Fa che gli si avvicina, dopotutto questa doveva essere la serata più divertente e bla bla bla.

Il tizio visto da più vicino sarà alto uno e ottanta voglia di saltarti addosso, sta per uscire visto che ha la giacca e cerca qualcosa in tasca. Claire esce, anticipandolo, e si appollaia da brava gallinella. Attorno niente cambia: facce sul triste andante, moltissime chiacchiere e cose da raccontare, qualcuno addirittura commenta il meteo infelice. Claire si chiede perché alla fine la gente perda tanto tempo a conversare del nulla, per giunta il sabato sera, dopo che si è infiocchettata a festa. Impaziente si sta per alzare, un altro gin toniccc al bancone e via, abbandonerà ogni illusione.
Il locale si è riempito nel frattempo, la gente giusta arriva dopo una certa, il rumore è assordante e la vescichina microscopica di Claire è nuovamente zeppa.

In questa atmosfera generale, in cui ho provato a descrivervi un certo disagio esistenziale, Claire e il tizio si trovano a parlare. E qui la colonna sonora è struggente, ma inevitabile Powerd by Roberta Flack and Lauryn Hill in the 90ies.
Un gin toniccc! (Claire urla)
UNA BIRRAAA! (il tizio urla contemporaneamente)
Le sorride, e la scavalla. E' più grande, e ha un tono di voce più profondo, quindi il barista lo sente meglio. Ubi maior, Claire cessat.
E POI UN GIN TONICCC PER LA RAGAZZAAA QUIII! (Ubi gentilezza, Claire si squaglia).
Grazieee!
DI NIENTE, DEVI GRIDARE PIU' CONVINTAAA, PROVAAA.
Claire sente la D di divertimento ronzarle nelle orecchie.
Cosa urlooo?
IL TUO NOMEEE?
...Claireee!
CHIARAAA?
CCCLLLAAAIIIRRREEE!
AH COME CLARAAA MA INGLESEEE!
Nooo, come Claireee e bastaaa!
AHHH, PIACEREEE!


Vi dico solo che hanno urlato per un'ora buona, scambiandosi informazioni di base, parlando come tutti gli altri persino del tempo di merda, dei loro lavori e dell'ultimo album degli Interpol. Divertente questo signorino, vero Claireee?

martedì 16 settembre 2014

About my brother

Ciao lettori

Di questa ce n'eravamo completamente dimenticate. 
La postiamo esattamente come l'avevamo scritta qualche mese fa, chiedendoci perché non l'avessimo già fatto.

Enjoy!


Mio fratello mi chiede cosa fare con la sua attuale ragazza. Se me lo stai chiedendo, significa che ha già deciso cosa fare da solo. Quindi mi metto una mano sulla coscienza, e con l'altra lo abbraccio mentre entra in casa. Salgo sulle punte dei piedi per tenerlo stretto a me, gli dico che mi è mancato tanto. Non risponde, ma ok così: mettiamoci a nostro agio.

Non beve caffè, non beve birra lontano dai pasti, non gli piace l'acqua frizzante e quella del rubinetto dice che sa di calcare. 'Del Gatorade non ce l'hai?'. Ho la faccia di una persona che sa come si scrive Gatorade? Finisce che trovo del tè freddo alla pesca un po' caldo, lui abbozza buttandoci dentro tre cubetti di ghiaccio, e gettando il cuore oltre l'ostacolo.

Non parla, beve e si guarda in giro. Io guardo lui che guarda il gatto, e come inizio, penso, poteva andarmi peggio. Allora, mi dicevi che avevi qualcosa da dirmi su Giulia. Provo ad essere diretta, e il suo corpo atletico, ereditato dal ramo sportivo della nostra famiglia, diventa di legno. Okay Braveheart, dovrò fare tutto da sola.

Giulia è una ragazza della sua età, sopra i 25 e graziosa. E' tutto quello che so, che mi è stato detto e che sono riuscita a capire le volte che ci siamo incontrare. Non mi è mai stata simpatica, ma non l'ho mai detto a nessuno.

Riformulo la domanda, incrociando le dita: Dario, scusa, forse ho capito male al telefono, ma pensavo volessi parlarmi di lei, di voi... Finalmente mio fratello reagisce: Sì. 
Molto bene, per lo meno respiri.
Passo alla domanda due del questionario: Avete litigato? Lui dice che continuano a litigare.
Caspita, commento. 'Beh capitano periodi in cui, in una relazione che dura da un po', ci sono tensioni e malumori. Dovresti capire perché discutete, forse ti aiuta'. Dice che i motivi sono tanti. 'Tanti motivi...': risponde in cinque sillabe, e abbassa la testa fino a che il mento gli preme contro il petto. Riconosco questa posa, l'ho vista troppe volte per non sapere cosa significa. Mamma, è colpa mia, ma per favore non dirlo a papà. Il mio gigante è sopraffatto dal senso di colpa, e intuisco solo ora quanto tempo abbia già speso a riflettere su Giulia e tutto il resto.
Decido di essere sincera, ma affettuosa. E' la persona a cui voglio più bene da quando ho quattro anni, quindi mi viene facile.

'Noto che, più che parlare di voi, avevi bisogno di venire a nasconderti qui, come facevi  da piccolo. Mh!? Potrei cucinare una delle mie specialissime specialità, trovare del Gatorade nel raggio di 100 m, starcene sul terrazzo che stasera secondo me il tempo regge. Poi ti caccio che aspetto uno'.
'Chi?'
'Un tizio che mi deve controllare il pc'
'Usi delle metafore tutte tue'
'Ahahah, scemo. Comunque, esco a prendere 'sto Gatorade e ci spariamo due ore di silenzio empatico?'
'Cosa ne pensi?'
...
'Dario mi sembra che tu abbia già trovato la soluzione, o la risposta, da solo. Sei intelligente, più della media credimi. E dirti cosa penso non mi sembra ti serva, sinceramente'
'Si, ma cosa ne pensi?'
'Sincera eh'
'Sincera, certo'
'Aspettavo pazientemente che accadesse. Non ho stima di Giulia. Mal sopportavo quando se ne usciva contro tempo, del tutto fuori luogo, mentre si discuteva. Ho sempre avuto l'impressione fosse una ragazzina che volesse ballare sul tavolo degli adulti, un pappagallino colorato abilissimo nell'imitare la ragazza più figa del gruppo. Ma, appunto, una copia ben riuscita, niente di più. Tu forse non te ne sei accorto, ma a Natale ho dovuto bere prosecco a ruota, e aiutare mamma in cucina per tutto il pranzo pur di non dire quello che le avrei volentieri detto, in quel momento'
'Che sarebbe?'
'Non sei la benvenuta'
'Ma quindi ti sta sul cazzo!'
'Ma il punto non è questo. Non deve piacere a me. E poi, piccolo segreto, ho sempre dell'ovatta con me quando conversiamo oltre i dieci minuti'
'Ahahah, sei una stronza, non è così male'
'Dipende da che scala di valutazione usi, e soprattutto da cosa vorresti. Personalmente, ti ho sempre immaginato con una francese bilingue, bionda con gli occhi scuri scuri e la pelle dorata fino alla fine di settembre. Una vulcanica e curiosa, intelligente ed educata, che ti aprisse un mondo che altrimenti ti saresti perso, e ti ci lasciasse entrare senza ammanettarti a lei all'ingresso del regno'.
'Usi davvero metafore tutte tue'.

mercoledì 3 settembre 2014

For the Babies

Ciao lettori

Sottotitolo: ne ho avvistati talmente tanti in vacanza, che non posso fare a meno di dedicargli un post. Perché sono da mangiare da piccoli, per evitare che diventino grandi, ed irresistibili, soprattutto se sono degli altri.

E stands for Enjoy Ettore Everybody!


Mentre leggevo una rivista, ho visto che mio figlio cercava di alzare il sedere pesante che si ritrova, rotondo e gommapiumato, facendosi forza con le braccia e i gomiti e le mani e la testa volendo, sprofondando, tentativo dopo tentativo, nei cuscini per terra. Puf! again. Ho lanciato la rivista chissà dove e mi sono seduta sul divano di fronte a Ettore, il mio bambino.
Lui era appena caduto e intravedevo dello sconforto nei suoi occhi stanchi delle otto di sera. Le sue giornate sono lunghe e impegnative, principalmente a causa della nonna che gli abbiamo appioppato affinché si tenessero d'occhio a vicenda di giorno, mentre lavoriamo. La nonna ed Ettore sono una coppia davvero simpatica, se la intendono alla perfezione, e piangono entrambi quando la mamma, moi meme, torna dal posto in cui sta otto ore 'per rilassarsi', come puntualizza la nonna di Ettore. Quindi io, rilassata e decontratta come un petalo di rosa cresciuta nel giardino di Versailles all'ombra dei putti che furono di Maria Antonietta, acchiappo mio figlio per il girovita morbido e lo piazzo in macchina, lanciandomi, un po' come la rivista di cui sopra, versa casa mia.
Nella nostra dimora tutto è sottosopra: il giovedì è il giorno peggiore, e se fossimo in un telefilm americano in cui i servizi sociali passano ad minchiam a controllare che tutto sia a posto in famiglia, saremmo fottuti. Invece mi basta caricare la lavastoviglie e farla partire, a bomba con la lavatrice, e spostare i giochi di Ettore dietro la porta: a colpo d'occhio sembra tutto ok, e la prima impressione conta sempre molto.
Ettore ha quasi un anno, un anno per me durato 439.543 anni: è nato piangendo, e non ha ancora finito le scorte di tristezza cosmica. E' un tipino sensibile, dice suo padre, come me, aggiunge. I 'tritura coglioni' che vivono con me, qui, li chiamano 'uomini sensibili', nota a margine. Comunque, in questi quasi 12 mesi di vita, Ettore ha sempre avuto una mobilità un po' rallentata, per usare un eufemismo. Urlava come un pazzo se non aveva quello che voleva, ma a mala pena smuoveva il pannolino per raggiungerlo. Sono arrivata a sperare che strisciasse; sarebbe stato un primo passo. Così abbiamo deciso di fargli fare visite approfondite ed esami. Il padre lo faceva saltare sulle gambe, gli tirava palloni di spugna, accennava passi di danza; io semplicemente li osservavo con il cuore sempre più piccolo.
Dopo due mesi di minuziosi controlli, guidati da un pediatra preparato e professionale e buffissimo con Ettore, il responso è stato deludente: "Vostro figlio non ha nulla. E' sano, cresce bene, rientra in tutti i parametri. Gli ci vuole tempo, più che ad altri bambini. Continuate a stimolarlo, state facendo un ottimo lavoro e non c'è motivo per cui preoccuparsi".
Avevo un figlio pigro, il che sarebbe stato perfetto se non fosse che, come spiegazione, avrei voluto qualcosa di più, e ovviamente una cura, una medicina, e una terapia da seguire. Qualsiasi cosa ma non aspettare. Invece è esattamente quello che abbiamo fatto, tutti e tre, ognuno a modo suo. Ettore dormendo sonni tranquilli e cagando il bendidio, io fingendo serenità, il padre attento ad ogni sfumatura, silenzioso come la roccia più forte su cui sapevo di potermi appoggiare. Siamo andati avanti così per un periodo infinito, durato poco meno di cinque mesi in realtà: siamo stati bravi.

Ettore ieri sera ha camminato, dal nulla ha preso e ha camminato. Si è intestardito, sforzandosi con ogni parte del corpo, e al ventesimo tentativo è riuscito a stare in equilibrio sulle gambe per più di due secondi e fare altrettanti passi. Io ero seduta di fronte a lui, suo padre in piedi dietro di noi. Non so se sia la fine di un incubo, o solo un vana speranza di vederlo finalmente muoversi indiavolato, ma un sollievo così non ricordo di averlo mai provato. Ho pianto incontrollatamente per la prima volta da quando è nato, riassaporando la sensazione viscerale che la rivista che stavo leggendo sbrigativamente definirebbe 'la gioia di essere madre', ma che mi piace di più farvi credere sia simile ad un tamburo appoggiato al petto, battuto con forza e coraggio e incondizionato amore.