mercoledì 9 luglio 2014

Louise and Johnny Boy

Ciao lettori

Ogni volta che abbiamo una storia pronta per essere pubblicata, boom!, ne scriviamo un'altra di getto. Mentre impariamo a pianificare e a seguire i piani pianificati, vi lasciamo questo rush di endorfine che ci ha preso alle spalle.

Enjoy con questa sotto Instrumental Soundtrack


Ho visto Louise stringergli la mano così forte da  bloccargli la circolazione, una notte. I ragazzi avevano esagerato con le birre, un gruppo di balordi in cerca di una rissa facile si era avvicinato e Johnny Boy non si era fatto pregare. Era bastata una parola di troppo, un commento spinto sulle anche della sua morbidissima Lovely Lou, e Johnny si era alzato. Era veloce, aveva un tempo di reazione da centometrista e Louise si era dovuta esercitare molto per tenerne il passo. Quella volta  fu la prima in cui riuscì a bloccarlo prima che arrivasse al gruppetto di sfigati malintenzionati, afferrandogli la mano con una presa sicura, convincendolo a sedersi con una frase che, nel tempo, divenne un classico. 'Buono, per favore'.

Ho visto Louise stringergli la mano altrettanto forte da farlo piangere, un'altra notte. Johnny Boy era coperto di sudore e non c'era nessuno da picchiare, solo la piccola Lou,  adulta, a fargli coraggio. Il dottore aveva detto che sarebbe andata così, non c'era niente altro da fare per Johnny. Louise era con lui, quella notte umida di luglio, e non sapeva bene cosa fare ma faceva tutto quello che le sembrava giusto. 'Buono, per favore'.
Gli aveva parlato senza mai interrompersi, creando una specie di ruota di parole e argomenti inanellati alla perfezione.
L'ho ascoltata in segreto, quella notte, dalla stanza vicino alla loro, in quella casa grande che avevano messo insieme nel corso degli anni. E mi sono stretta forte nel pigiama, piangendo sulla canotta che avevo addosso.

'John, ascoltami. Stavo pensando che potrei iniziare a piantare i semi di papavero che avevo comprato. Dovrebbe essere il momento giusto per i papaveri, così ho letto. Se crescono poi dovrò ricordarmi che sono fragili, ho letto pure questo, ma potrei segnarmi un memo sul frigo - RICORDATI DEI PAPAVARI, LOU! -  e ogni mattina prendendo il latte lo leggerei e così andrei a controllarli. Potrebbero essere gialli come piacciono a me; oppure rossi, farebbe lo stesso. Ci sarebbero sempre tante api attorno, e mosche e moscerini e sarebbe una grande festa allora. Metterei la musica, e danzerei con questi esserini muti ma socievoli. Potrei stirare il vestito blu che ho comprato per il matrimonio di Barbara... sempre che mi stia ancora. Lo farei allargare di un punto sui fianchi, forse due. Ordinerei la torta alla pasticceria di Françoise, quella che guardo e non compro mai, a due piani e senza guarnizione fuori, con la crema solo tra i due strati, al limone e alle mandorle, e le amarene qua e là. Il pandispagna sarebbe soffice e potrei berci quel vino che ho visto al super, con il nome strano ed esotico. Ci affogherei una fetta di torta, e quasi lo finirei, aspettando che le ragazze arrivino per farmi compagnia nel tardo pomeriggio. Barbara e i bambini, Claude da sola come sempre, Joan per ultima. Potrei insistere perché rimangano per cena, visto che è estate e le giornate sono un po' più lunghe. Le nostre figlie mi direbbero che sto benissimo vestita così, coi capelli finalmente in ordine'.

'Johnny, ascoltami. Parleremmo di te, con il nodo in gola e molte pause tra una frase e l'altra. Tireremmo fuori dalla cassettiera le foto degli anni passati, cercando di ricordare date e nomi di sconosciuti. Ci verrà in mente qualche episodio molto divertente e una di noi imiterà la tua voce. Finiremmo la torta, apriremmo altro vino'.

'Sarà il nostro primo giorno senza di te, Johnny, ma non lo userò per piangere, perché mi hai resa una donna così felice e forte che non so più come si faccia, a piangere. Non ho mai riso con nessun'altro come con te, piegata in due in una sala cinematografica mezza vuota e la tua parodia del film sussurrata all'orecchio. Queste rughe agli angoli della bocca sono colpa tua. Sei stato il mio migliore amico, il mio amore folle, il mio solido compagno. Non mollerò la presa, non farò finire la festa'.

domenica 6 luglio 2014

The Bride

Ciao lettori

Ci piace pensarvi accoccolati e molto rilassati. Leggete ad alta voce al vostro amore, ai vostri amori. E' domenica sera e siamo contenti mentre decidiamo i vestiti per domani.

Enjoy the bride and her thoughts just before to say 'Yes, I do'.


Il giorno in cui ci siamo sposati ero molto bella, e molto felice. Mi ero scelta una vestito inappropriato secondo mia madre, una gonna corta e stretta che lasciava scoperte le gambe e i sandali aperti e altissimi. Volevo toccare il cielo, vale a dire il metro e settantacinque, e osservare i mortali dalla vetta dell'Olimpo. La maglietta larga sui fianchi, giallo pastello, di lino purissimo; i capelli sciolti sfioravano le spalle di poco, il rossetto opaco e rosso era caldo sulle labbra. Non avevo fato lampade solari e al mare non ci ero stata, per mancanza di tempo sopratutto, visto che procedeva tutto in ritardo e sembrava sarebbe potuta scoppiare la terza guerra mondiale se solo mi fossi azzardata ad uscire dai confini della città. Di mio ero tranquilla, ma l'ansia di tua madre era ingestibile e, correggimi qui, ho persino il ricordo di aver innaffiato le piante del giardino della nostra festa, poco prima di scendere e baciarti di fronte a tutti gli invitati. Che strazio di donna: ti ha messo la mondo, e di questo le sarò grata per sempre, ma un gatto attaccato alle palle sarebbe più gradevole.

Il rimmel nero mi allungava le ciglia all'insù, la cipria finissima uniformava il mio incarnato, la canzone che avevo scelto iniziava nella stanza accanto e, voltandomi per l'ultima volta verso l'uscita, ricordo di aver pensato che, se volevo, potevo ancora scappare, stare da sola, fregarmene di te, che in fin dei conti eri forte, avevi carattere e anticorpi sviluppatissimi, e avresti sicuramente capito. Invece respirai e mi mangiai le labbra, mio padre si avvicinò e mi disse che, quando volevo, lui era pronto. Mi misi a ridere e piansi sulla sua giacca scura: mi saprà mai dire quello che mi sai dire tu, papà? Troverà il varco? Lo lascerò entrare senza porre resistenza, indifesa e fragile? Mi sentii chiedergli questo, due minuti prima di diventare tua moglie. Mio padre rispose di sì, accarezzandomi la schiena. 'Credo l'abbia già fatto, se siamo arrivati a questo punto'.
Trovai la forza di diventare tua moglie quel giorno, grazie alla forza di mio padre.

Così mi sono lasciata invitare a ballare da tutti gli invitati, scalza ho imitato i passi di Zorba, in cerchio con i miei amici che di greco avevano solo la feta conservata in frigo. In un momento di pausa sono certa di aver incrociato il tuo sguardo, in piedi in fondo alla sala illuminata con piccolissime luci bianche lungo tutto il perimetro, mentre il ristoratore ti pregava di iniziare ad andare a casa. 'Sono le due signore, eravamo d'accordo di...'. Ti ho sorriso, sapevo cosa gli avresti risposto, ed era questo a farmi sorridere.

Finalmente trovammo il tempo di ballare la canzone che avevo scelto Coney Island Baby by Lou Reed. Era tardi, i camerieri stavano sbaraccando, gli invitati erano esausti, mio padre non so dove fosse finito, io cantavo brilla e allegrissima, nascondendo il viso sulla tua camicia sgualcita e sudata.

Iniziò così, e voglio ricordarlo per sempre nonostante non sia più come allora.