domenica 29 giugno 2014

Bon appétit

Ciao lettori

L'amour toujours, o comunque con la pancia piena.

Enjoy.


Ti amo. Amo la ruga che scende perpendicolare nel mezzo della tua fronte, come una cicatrice. Oh ma, aspetta un attimo... ma quella è una cicatrice! Ahahah, allora amo la cicatrice che sembra una ruga formatasi contro tendenza al centro della tua fronte lucida. Amo le tue mani dentro le tasche, quando sei arrabbiato e, forse per evitare di schiaffeggiarmi, istintivamente le nascondi lì, dove ti prudono dal nervoso contro la stoffa dei pantaloni. Amo vederti camminare davanti a me almeno cinque metri ogni volta che passeggiamo insieme in città la domenica mattina, perché hai il passo più veloce del mio, non mi aspetti e io non corro. Amo la sensazione di doverti stare dietro, di poterti perdere, di cambiare strada e lasciare che sia il caso a rimetterci in linea. Amo che non ti preoccupi se non mi vedi in scia, perché di base hai sempre lo sguardo puntato in avanti. Amo girarmi ed essere attorniata da sconosciuti, e non avere alcuna voglia di parlare, ma essere incuriosita dai loro discorsi. Amo tornarmene a casa da sola, e accorgermi di non avere le chiavi e citofonare alla vicina che, diffidente, alla fine mi apre. Amo aspettare sul pianerottolo, e chiamarti e chiamarti e chiamarti. Amo la tua segreteria telefonica, e lasciarti messaggi minatori con la voce camuffata 'Abbiamo la tua ragazza, forse ti abbiamo fatto un favore ok, ma ti prego torna a casa'. Amo quando arrivi, senza sacchetti della spesa, senza giornale, senza le brioches salate del panettiere aperto; senza niente di niente. Amo che anche tu ti stupisca di come io non abbia comprato nulla di quello che ci serviva, e per cui eravamo usciti solo un'ora prima. Amo lasciarti lamentare, e dover scendere al super velocemente. Amo essere affamata al punto tale da accumulare nel semicerchio delle mie braccia unite: un vasetto giga di yogurt bianco, latte parzialmente scremato, le Camille del Mulino, i cereali con i pezzetti di cioccolato, il tetrapak del succo al mirtillo, i frollini spessi 5 mm da 60 calorie l'uno. Amo entrare in cucina come l'ultima delle furie, e ascoltare lo scroscio del cesso e vederti uscire dal bagno senza la minima foga o fame. Amo fare colazione da sola quindi, con la distesa di cibo appena acquistato davanti a me, in ordine sparso sul tavolo senza tovaglia e la musica che inizia a suonare dalla stanza. Amo il fatto che abbiamo bisogni primari differenti, e bere una moka da tre in totale solitudine, mentre tu, finalmente, ti siedi al lato opposto del tavolo. Amo che sia già ora di pranzo, come mi fai notare, e guardarti con la bocca piena e a forma di punto interrogativo. Amo ammettere di non avere molta voglia di pranzare, considerando che sto finendo la colazione. Amo vederti ordinare al telefono qualcosa, pur di non metterti a cucinare. Amo avere qualcosa in comune con te, alla fine.

Ti amo, e un giorno riusciremo a coordinarci, per vedere com'è passarsi il pane o il sale seduti contemporaneamente alla stessa tavola, mentre il mondo applaude lo sforzo, la costanza e la pazienza che ci abbiamo messo per assecondare i nostri stomaci fuori tempo. Buon appetito, amore.

mercoledì 25 giugno 2014

Claire and Aurelie

Ciao lettori

Prima storia estiva dell'anno. Dolce e amara, fresca e appiccicosa. Con qualche foto qua e là.

Enjoy pesche, anguria e birretta all'ombra.


Il giardino di Claire è una delle tre cose al mondo, in assoluto, che mi tranquillizzano. E' tutto attorno alla sua casa, appena fuori città, lontano abbastanza dalla tangenziale, non troppo grande ma con l'erba verde intenso e una luce diffusa e calda dopo le 18. Rispecchia la mia giovane amica, madre da qualche mese, e forse è esattamente questo il motivo per cui mi rilassa starci; anche Claire, tra la cerchia di persone più vicine, è in assoluto il mio calmante. A guardarla non sembrerebbe, perché ha questi capelli scuri, che le cascano da tutte le parti e stanno su con una manciata indefinita di mollette ed elastici. E' disordinata, e si veste a strati anche in luglio; ovviamente strati sottilissimi di tessuti naturali, "il sintetico puzza sempre e per sempre dopo che ci hai ballato una sera, tesoro, inutile far finta di non saperlo". Così assume le sembianze di una fata, da marzo con bambina al seguito. Sua figlia, Aurelie, è spiccicata al padre; Claire lo sa e per questo la chiama Aurelio. E' simpatica la mia amica, e comunque è convinta che non sarà per questo che la bimba crescerà traumatizzata, "sentissi cosa le dice mia sorella quando ci viene a trovare... Questo sì che le creerà serissimi problemi, con il genere maschile in primis. Stef sta attraversando nuovamente la fase 'Odio te, uomo, e ti maledico', così ogni volta è un disco rotto che parla solo di come quello le abbia fatto questo, e di come questo non le abbia fatto quello. Due coglioni pieni e rotolanti nella valle delle zitelle. Però mi fa comodo quando passa, perché mi aiuta con la nana... Secondo te è riprovevole barattare la salute mentale di mia figlia con un cambio di pannolino?"
Ridiamo tantissimo di noi due, di sua sorella, del suo compagno, della neonata con il nome da maschio, di lei che ogni tanto è triste e in ansia, di me che non mi tengo insieme neppure con l'Attak da un po' di tempo a questa parte.

Va male eh?
Minchia se va male. Ma è ciclico, lo sapevo sarebbe tornato.
Bah, per me è una puttanata questa cosa che sai quando starai male. E' una scusa dai.
Mmm, è che non ho voglia di scervellarmi, sono un po' affaticata.
Ah guarda, più stanca di me impossibile in questo periodo. Ma io di certo non mi piango addosso come fai tu.
Ma io mica...
Piantala, non ho voglia di ascoltarti quando diventi la madonna lacrimevole.
Sì ma figa...
E non dire parolacce in presenza di Aurelio!
Ahahaha
... Quindi, descrivimi il piano, forza.
...
Non hai un piano? Oh cielo impestato, Aurelie, amore della mamma, hai sentito? Questa sfigata non ha neppure uno straccio di piano! Persino mia figlia si è fatta un piano!
Ah si?
Quando mia sorella sfonda il muro della sopportazione, Aurelio inizia a piangere urlando come una scimmia in calore e...
Una scimmia in calore come fa?
Come noi donne quando le cose diventano interessanti, ma più savage.
Ah ecco.
Dicevo, persino una nana come Aurelie si è inventata un metodo per sopravvivere. Fallo pure tu, diocristiano.
Mi suggerisci di urlare come quando sono in calore?
Madonna, beata te che sei ancora in calore!
Buahahahahahahah, cazzo, almeno quello.
Non tocchiamo l'argomento sesso per cortesia, faccio fatica a fare pure quello, e non sono ancora pronta a cazzeggiare sul tema, capirai...
Capisco, si.
Potresti lanciarti nella mischia, sgomitare come piace a te...
Non mi piace sgomitare.
Si, dicevo per per dire. Devi muoverti tesoro, lo dico per te.
...
Vuoi qualcosa da bere? Ho il succo, e il latte fresco e l'acqua del rubinetto. Salutista come non mai.
Birra non ne hai?
Sì, morirei senza sapere di averne, anche se non la posso bere quanto vorrei. Le guardo lì, nel frigo, tenendo in braccio Aurelie prima della poppata. 
Ahahaha, madre degenere.
Le dico "Vedi, queste non le bevo per te, Aurelio. Vedi che brava mamma, mh!?"
Sì, sei bravissima, stupenda cazzo. Volevo dirtelo da un po', sei bellissima.
No dai, non devi mentirmi.
Ma è vero! Hai la pelle lucida e tersa, di un colorito che non ti avevo mai visto prima. E sorridi tanto. Hai un bel sorriso.
Oh cazzo, sono Heidi!
Buahahaha
E' Aurelie... Aurelie è... è qualcosa che non riesco a spiegarti. E' ingombrante, non si assenta mai. E' delicata, è rumorosa, è anche tanto brava. Mangia, dorme, fa le sue cose in silenzio, poi esplode, urla e piange e all'inizio è una piccola tragedia, perché sono lì che la guardo e cerco di prenderla e di cullarla e lei perde il respiro da tanto strilla. 
Sono mamma, oh, sono una mamma. Io. Ci pensi?
Già.
Già... è mia. L'ho fatta io. E'... è... devi provarlo per capire cosa sia. Io non lo so spiegare, e non ho ancora capito se mi piace o meno ahahaha.
Ahahaha.
Eppure da qui non si torna indietro. E' pazzesco; è la cosa più pazzesca che abbia mai fatto.
...
...
Quindi, 'sta birra?
Ah giusto.

Quando Claire torna in giardino con due birre e una bambina appena sveglia, sto riflettendo su come escogitare un piano per me che includa delle scimmie urlatrici. Lei lo capisce al volo, e mi piazza sua figlia in braccio. "Tieni qui. Devi avere le mani occupate, tesoro. Al resto ci penserai poi".


martedì 3 giugno 2014

June 2014 / Untitled #01

Ciao lettori

Questo racconto è influenzato da un nuovo scrittore preferito. Abbiamo letto un po' di interviste e articoli prima di comprarne il romanzo d'esordio, perché avevamo il presentimento che David Foster Wallace non fosse uno semplice da conoscere, ma un peso massimo, e noi poco preparati all'impatto.

Ci avevamo preso: 'La scopa del sistema' è un libro bellissimo, scritto da un genio della logica, capace di tenere insieme fili inizialmente inutili, alla fine compatti nello stesso gomitolo.

Ogni tanto, confessiamo, rileggiamo la stessa pagina una o due volte: dopotutto siamo più carine che intelligenti.

Enjoy.


Quando entro nella stanza dove dorme mia madre, cerco innanzitutto di aprire le finestre, lasciar passare un po' d'aria fresca, lasciarne uscire un po' di quella viziata. Le infermiere possiedono un olfatto poco sviluppato, e mia madre respira merda da due anni a questa parte. Ho provato, tante quante inutili volte, a chiedere che ne venisse aperta almeno una: ogni tanto, di più d'estate, con parsimonia d'inverno. Ma lo facciamo, signora, mi hanno risposto. Lo facciamo e sua madre inizia a urlare e lamentarsi in modo alquanto, come dire, eccentrico. Non mi interessa, ho risposto. Non mi interessa come e quanto mia madre riesca a lamentarsi, considerando il fatto che ha 67 anni, una malattia degenerativa che l'ha resa un cavallo pazzo senza briglie e si suppone, oh dio grazia se si suppone, che voi facciate ciò che è meglio per lei, non quello che la rende docile, collaborativa e silenziosa.

Non hanno capito quanto fossi seria, sottovalutando quanto potessi essere, come dire, anche io eccentrica nel lamentarmi: sono sempre la figlia di mia madre. Ho alzato la voce, come da bambina facevo per richiamare l'attenzione di mamma, e superare l'entropia di tre fratelli maggiori, sviluppando di conseguenza polmoni di dimensioni enormi, considerando gli acuti che produco tutt'oggi. Le infermiere si sono spaventate, due di loro di sicuro, le altre accorse poco dopo un tantino meno; l'effetto sorpresa era svanito.
Ho fatto la matta, mamma, come sempre quando sento che non c'è altra soluzione, e qualcosa, o qualcuno, mi sta molto a cuore. Mia madre, sebbene so perfettamente non capisca più una parola di ciò che le dico, mi è sembrata divertita da tutto quel trambusto. Le ho sorriso di rimando, come quando da bambina capivo sentiva la mia voce, in mezzo a quelle dei miei fratelli.

La più minuta e giovane delle quattro infermiere si è avvicinata ad una finestra, scostando le tende leggere e bianche, voltando la maniglia, aprendo entrambi i vetri. L'ho guardata senza espressione, prestando piuttosto attenzione alla posizione di mia madre, sdraiata da chissà quante ore: un tempo era una donna dalla corporatura robusta e muscoli proporzionati, una di quelle che ti fa vedere come pulire a terra per bene, maneggiare una scopa e uno straccio, tenere in braccio tre figli contemporaneamente, aggraziata ed energica. Verso i cinquant'anni aveva persino perso peso, in controtendenza rispetto le sue coetanee in menopausa: le si era assottigliata la vita, e anche il seno era meno alto. Abbiamo iniziato in quel periodo ad affrontare la malattia. I sintomi sono stati fin da subito allarmanti, e nessuno in famiglia li ha potuti sottovalutare.

Negli anni le cose sono peggiorate molto, inanellando momenti meno pessimi a momenti pessimi a momenti decisamente oltre il pessimo. Un pomeriggio le ho fatto visita, come oggi, e me ne sono andata via in cinque minuti netti. Dio Imperatore, anche da demente riesci a farmi saltare le rotelle, mamma! Avevamo discusso, al tempo mi riconosceva e parlava con facilità del più e del meno. Non con gli estranei, che, in linea generale, odiava in massa e immotivatamente. Mi incalzava, insistendo affinché le raccontassi come stava Paul, il mio compagno, Eloise e Joanna, le mie figlie, ovviamente suo marito, nonché i miei tre fratelli. Un resoconto, non dimenticare nulla, aveva detto. Mi interrompeva con domande del tipo 'Ma fa freddo in casa ora o avete sistemato il termostato?', ed io non avevo la più pallida idea di cosa stesse parlando, visto che era primavera, faceva già caldo, e il termostato era in buonissimo stato.

Era mia madre, e pensavo fosse un'ingiustizia doverla accompagnare al cesso a soli 55 anni, imboccarla come facevo con le mie bambine, accarezzarle la fronte come ad un neonato agitato. Mi faceva molta rabbia, e provavo disperazione, pura e distillata e impotente disperazione. Avrei voluto scuoterla, e invece riuscivo solo a prendermela con le badanti o le infermiere di turno. Non mi rimaneva niente di lei, e avevo soprattutto paura di perderla più di quanto l'avessi già smarrita negli ultimi dieci anni, poiché ogni giorno poteva dimenticare qualcosa: il nome dei miei fratelli, o la sua personalità, che molti giudicavano eccentrica, ma che per me era la cosa più facile da comprendere al mondo. Era una persona stupenda, ed era il riflesso in cui mi piaceva specchiarmi, perché aveva la qualità speciale di rimandarmi un'immagine di me bellissima. Mi manca come non mi è mai mancato nessuno, e non riesco a darmi pace: la rivoglio indietro.