martedì 3 giugno 2014

June 2014 / Untitled #01

Ciao lettori

Questo racconto è influenzato da un nuovo scrittore preferito. Abbiamo letto un po' di interviste e articoli prima di comprarne il romanzo d'esordio, perché avevamo il presentimento che David Foster Wallace non fosse uno semplice da conoscere, ma un peso massimo, e noi poco preparati all'impatto.

Ci avevamo preso: 'La scopa del sistema' è un libro bellissimo, scritto da un genio della logica, capace di tenere insieme fili inizialmente inutili, alla fine compatti nello stesso gomitolo.

Ogni tanto, confessiamo, rileggiamo la stessa pagina una o due volte: dopotutto siamo più carine che intelligenti.

Enjoy.


Quando entro nella stanza dove dorme mia madre, cerco innanzitutto di aprire le finestre, lasciar passare un po' d'aria fresca, lasciarne uscire un po' di quella viziata. Le infermiere possiedono un olfatto poco sviluppato, e mia madre respira merda da due anni a questa parte. Ho provato, tante quante inutili volte, a chiedere che ne venisse aperta almeno una: ogni tanto, di più d'estate, con parsimonia d'inverno. Ma lo facciamo, signora, mi hanno risposto. Lo facciamo e sua madre inizia a urlare e lamentarsi in modo alquanto, come dire, eccentrico. Non mi interessa, ho risposto. Non mi interessa come e quanto mia madre riesca a lamentarsi, considerando il fatto che ha 67 anni, una malattia degenerativa che l'ha resa un cavallo pazzo senza briglie e si suppone, oh dio grazia se si suppone, che voi facciate ciò che è meglio per lei, non quello che la rende docile, collaborativa e silenziosa.

Non hanno capito quanto fossi seria, sottovalutando quanto potessi essere, come dire, anche io eccentrica nel lamentarmi: sono sempre la figlia di mia madre. Ho alzato la voce, come da bambina facevo per richiamare l'attenzione di mamma, e superare l'entropia di tre fratelli maggiori, sviluppando di conseguenza polmoni di dimensioni enormi, considerando gli acuti che produco tutt'oggi. Le infermiere si sono spaventate, due di loro di sicuro, le altre accorse poco dopo un tantino meno; l'effetto sorpresa era svanito.
Ho fatto la matta, mamma, come sempre quando sento che non c'è altra soluzione, e qualcosa, o qualcuno, mi sta molto a cuore. Mia madre, sebbene so perfettamente non capisca più una parola di ciò che le dico, mi è sembrata divertita da tutto quel trambusto. Le ho sorriso di rimando, come quando da bambina capivo sentiva la mia voce, in mezzo a quelle dei miei fratelli.

La più minuta e giovane delle quattro infermiere si è avvicinata ad una finestra, scostando le tende leggere e bianche, voltando la maniglia, aprendo entrambi i vetri. L'ho guardata senza espressione, prestando piuttosto attenzione alla posizione di mia madre, sdraiata da chissà quante ore: un tempo era una donna dalla corporatura robusta e muscoli proporzionati, una di quelle che ti fa vedere come pulire a terra per bene, maneggiare una scopa e uno straccio, tenere in braccio tre figli contemporaneamente, aggraziata ed energica. Verso i cinquant'anni aveva persino perso peso, in controtendenza rispetto le sue coetanee in menopausa: le si era assottigliata la vita, e anche il seno era meno alto. Abbiamo iniziato in quel periodo ad affrontare la malattia. I sintomi sono stati fin da subito allarmanti, e nessuno in famiglia li ha potuti sottovalutare.

Negli anni le cose sono peggiorate molto, inanellando momenti meno pessimi a momenti pessimi a momenti decisamente oltre il pessimo. Un pomeriggio le ho fatto visita, come oggi, e me ne sono andata via in cinque minuti netti. Dio Imperatore, anche da demente riesci a farmi saltare le rotelle, mamma! Avevamo discusso, al tempo mi riconosceva e parlava con facilità del più e del meno. Non con gli estranei, che, in linea generale, odiava in massa e immotivatamente. Mi incalzava, insistendo affinché le raccontassi come stava Paul, il mio compagno, Eloise e Joanna, le mie figlie, ovviamente suo marito, nonché i miei tre fratelli. Un resoconto, non dimenticare nulla, aveva detto. Mi interrompeva con domande del tipo 'Ma fa freddo in casa ora o avete sistemato il termostato?', ed io non avevo la più pallida idea di cosa stesse parlando, visto che era primavera, faceva già caldo, e il termostato era in buonissimo stato.

Era mia madre, e pensavo fosse un'ingiustizia doverla accompagnare al cesso a soli 55 anni, imboccarla come facevo con le mie bambine, accarezzarle la fronte come ad un neonato agitato. Mi faceva molta rabbia, e provavo disperazione, pura e distillata e impotente disperazione. Avrei voluto scuoterla, e invece riuscivo solo a prendermela con le badanti o le infermiere di turno. Non mi rimaneva niente di lei, e avevo soprattutto paura di perderla più di quanto l'avessi già smarrita negli ultimi dieci anni, poiché ogni giorno poteva dimenticare qualcosa: il nome dei miei fratelli, o la sua personalità, che molti giudicavano eccentrica, ma che per me era la cosa più facile da comprendere al mondo. Era una persona stupenda, ed era il riflesso in cui mi piaceva specchiarmi, perché aveva la qualità speciale di rimandarmi un'immagine di me bellissima. Mi manca come non mi è mai mancato nessuno, e non riesco a darmi pace: la rivoglio indietro.

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