sabato 29 marzo 2014

Once Upon a Time

Ciao lettori

E' giusto regalarvi qualcosa al di sopra della media, ogni tanto. 
Post con dedica; per un uomo che mi ha fatto amare il cinema, ma soprattutto assaporare il gusto di una vita agrodolce e sensibilissima, che profuma di terra umida, ma che ha sempre puntato alle stelle sopra il cielo del Grand Palais. Ciao papà.

So please take your seats, and enjoy the last cinematic tale.


Questa è la storia semplice di due anime battagliere ma non gemelle, incapaci di incontrarsi come ogni coppia il sabato pomeriggio, facendo le vasche per le vie del centro con un paio di scarpe nuove sotto il braccio.
E' il racconto del sentimento cresciuto senza illusioni, nascosto alla luce del sole, eppure luccicante come il più verde degli smeraldi di Sua Maestà. Noodles e Deborah hanno danzato una sola volta, adulti ed elegantissimi, in un palazzo del Lido della più malinconica Repubblica marinara, dicendosi addio citando i versi del Cantico dei Cantici.

Did you wait too long? / All my life.

La piccola Deb voleva il palco di Broadway, il giovane Noodles aveva un cuore pulsante e gigantesco. Era il più buono tra i buoni, il più giusto tra i giusti, e questa era la sua più grande qualità. In un mare di stronzi, il pesce che nuota orgoglioso senza far male agli altri, è l'unico meritevole di attenzione; pensava Deb. Noodles you're the only person that I've ever ... / Ever what? Go ahead / ... that I've ever cared about . A Noodles non bastava, per Deb era quanto di più bello potesse mai confidare ad un uomo. Tifo per te, mi rendi orgogliosa, mi importa. Come faceva a non capirlo Noodles!? Come non capiva che questo, e niente altro potesse mai accadere, era l'angolo segreto che solo lui aveva toccato.
La vita può essere lunga, ma non sceglie mai per te: Deb lo sapeva, e Deb sceglieva e sbagliava tantissimo.

Una sola immagine riusciva a calmarla in una stanza d'albergo, dopo una giornata difficile: il viso di Noodles che la guardava tra la folla, silenzioso e durissimo, imbronciato e rabbioso a prima vista, pieno di energia e bellissimo per lei. Una maschera di vita, un corpo vibrante di aspettativa, una voce potente e riconoscibile. Immaginate qualcosa di più forte, sapete consolare i vostri demoni in un modo migliore?

Deb era fragile e impaziente; non aspettava il tram passarle davanti: con 10 minuti d'attesa, alzava i tacchi e si incamminava verso una nuova via percorribile. Difficilmente si voltava, e, se lo faceva, si premurava nessuno la vedesse. Non voglio che mi ricordi così, piegata in due, spezzata dal peso di un carico che non riesco a sostenere, disorientata e confusa. Vorrei, invece, ti restasse il mio sorriso che esplode di gioia, il suono della mia risata, e, infine, il mio abbraccio più sincero. E' tutto quello che posso darti, è tutto quello che vorresti tenere con te, ne sono certa. Non sono docile, Noodles, lo sai, e non hai bisogno di sentirtelo dire.

Noodles e Deb furono due comete l'uno nella vita dell'altra. Illuminarono la volta celeste, passando veloci, ed ebbero la migliore colonna sonora che potrà mai risuonare nelle stanze di una casa di campagna, con la Magnolia che torna a fare ombra, come ogni anno, nei primi giorni di primavera.

Amapola, played by the orchestra



mercoledì 26 marzo 2014

Don't Worry Baby (cit)

Ciao lettori

In pausa pranzo seguiamo la dieta dello scrittore che, dovendosi arrangiare, scrive quando riesce, e vi regaliamo una piccolissima storia. Nel frattempo apriamo un attimo la finestra che il sistema si sta surriscaldando: la stanchezza ruggisce, ma dormiamo come mai prima. 

Enjoy insalatina tutti i gusti a 10 euro in centro, o toast al pc.
Soundtrack vivamente consigliato Don't Play That Song (You Lied) by The One and Only AF


Sto tornando a casa, controllando il cellulare e le chiamate perse di, unica e sola e inimitabile stalker of my life, mia madre, quando l'universo mi parla. Seduta davanti a me, una coppia di adolescenti vestiti da ultra trentenni, in una nuance di colore da far invidia al più medagliato degli stylist di Vogue. Minimal nella scelta degli accessori e perfettamente pettinati nella loro casuale acconciatura. Due piccioni senza fave con cui sfamarsi, pieni di loro stessi e del loro, evidente, amore. Si guardano, si distraggono, si riguardano, si ridistraggono. Un ritmo invidiabile, nato forse durante un compito di latino o matematica, nelle retrovie di un concerto estivo, in una giornata pigrissima davanti alla tv di casa. Simultaneamente, mi sembra, alzano e abbassano gli occhi grandi e vivacissimi, e capita si soffermino anche su di me. Chissà cosa vedono, e se lo specchio stamattina mi ha detto bene, o se ho sbagliato l'accostamento giacca/pantalone. Glielo chiedo quasi, poi rifletto: dio devo sembrargli obsoleta con questo chignon che non sta su neppure con le bombe, e la sciarpa strettissima al collo. Loro non hanno freddo, mentre io sono ibernata; ma quando ero giovane anche io sfidavo la temperatura altalenante di inizio primavera senza rischiare il tete à tete con il bagno la notte. E' una ruota che gira, mi dico, ogni tanto sarebbe bello girasse un po' meglio e senza tutte queste pause di riflessione e i tempi morti e le titubanze e i contratti a scadere, okay, ma è sempre una ruota che continua a girare. Ho provato a saltare giù, scendere tra una corsa e l'altra intendo, per vedere se, cliccando pause, l'atmosfera diventasse più nitida. Ma mi sbagliavo, e, anzi, stagnare ai lati mi ha gettata in uno stato di apatia, indolenza, insofferenza e, anche se non conclamata, depressione. Nulla di grave, niente di irrimediabile.

La verità è che vorrei alzarmi e sorridere ai due davanti a me: "Non tornerei mai alla vostra età. Ciao ragazzi, siete bellissimi, e bel cappotto". L'altra verità è che, per quanto mi sia costato caro ammetterlo, sono sempre più simile a mia madre che, testarda e dolcissima, si accinge alla terza chiamata in mezz'ora.

giovedì 13 marzo 2014

Bum bum cha

Ciao lettori

Ovunque ci giriamo, vediamo i vostri occhi a cuore. Siete tutti innamorati, o in procinto di esserlo, o sul finire di una lunga storia logorata, o forse all'inizio di una nottata molto sudata.
Va bene qualsiasi cosa, l'importante è non abbandonare la giostra prima di afferrare il codino.


Enjoy ottovolante.
Soundtrack "If you start me up, I'll never stop"


Mi sono svegliata con una spada che mi passava da parte a parte: incastrata poco sopra l'orecchio destro, usciva sulla nuca. 'Noti qualcosa di diverso?'. 'Hai una lama che ti passa attraverso'. 'Mai più quello che abbiamo fatto ieri eh, mai mai mai più. Io sto a casa ad aprire fagioli' 'Ok... Girati un po' che guardo se c'è altro...'. Mi sollevo lentamente, restando seduta a gambe incrociate, con la testa buttata in avanti e la schiena scoperta, come quando sono dal medico. 'Allora vedi qualcosa...?'. Il mio amore appoggia il suo orecchio bollente sullo strato di pelle violaceo che mi copre la colonna vertebrale, tenendomi il fianco con la mano. E' un dottore speciale, e questa visita lo sarà altrettanto. Cerco di respirare regolare, ma la tosse è fastidiosa e non si trattiene. Esplodo in una scarica secca di convulsioni, penso di morire avvolta nelle lenzuola profumate di Marsiglia. Invece no, mi fermo quando sento il palmo della sua mano scivolare sulla mia pancia e, riaprendo gli occhi, vedo il suo viso spuntare all'altezza del fianco sinistro. 'Mh, e cosa ci fai qui?'. 'Controllo se è tutto a posto, zitta un attimo'. Faccio voto di silenzio, ma ho la gola in fiamme, e riprendo a tossire scintille. Questa volta l'attacco è più lungo e doloroso: il mio amore se ne deve essere accorto, perché si scansa, aspettandomi appoggiato allo schienale del letto, dietro di me. Mi volto dopo l'ultimo colpo secco di cannone, e mi viene una voglia matta di saltargli addosso. Mollo le lenzuola pulite, gli arrotolo la maglietta e inizio a contargli i battiti. Soffoco una nuova raffica di tosse, sperando i polmoni non mi collassino qui, nel momento in cui stiamo sorridendo affaticati dall'esercizio fisico. Invece accade il prevedibile, e una raffica impietosa mi sale dalle viscere. Sono un drago, nel senso che sparo vapore, ma il mio amore è un uomo dalle mille risorse e conclude da solo quello che avevamo cominciato insieme. Sento la febbre altissima, il sangue che brucia, la mani gelate e, oh no ti prego non adesso no, mi appare la madonna ad un certo punto. Poi tutto finisce, e mi addormento nell'angolo del letto rimasto fresco, rannicchiata e bollente, sognando California, tachipirina al gusto di menta, ghiaccioli sotto i piedi e un'onda anomala e gelata dove trovare sollievo.

Avremmo potuto rimandare le acrobazie, sono davvero conciata e chissà cosa avrò preso l'altra sera uscendo senza calze. Ma le giostre arrivano una volta l'anno in città :)

giovedì 6 marzo 2014

M stands for Maia and just another sweet word

Ciao lettori

Vivienne ha iniziato a parlare. 
Enjoy this little lady of mine, and my own crazy imagination.


Abbiamo camminato moltissimo stamattina per arrivare al nido. La macchina non partiva, la spia della batteria era accesa, e dopo dieci minuti i santi invocati cominciavano a essere troppi nell'abitacolo.

Nonostante tutto, Vivienne ha reagito bene allo stress cui l'ho involontariamente sottoposta. In generale, non si scompone mai troppo e mi sorride dal basso del suo metro e poco più, infagottata e leggermente scoordinata nelle movenze, a causa della giacca che le ho acquistato a inizio stagione. Ve lo dico, ma non lo ammetterò mai di fronte a mia madre: è di due taglie più grandi della sua, ma pensavo sarebbe cresciuta molto questo inverno. Invece è una tappetta!, così il cappotto le copre completamente le mani e le ginocchia, costringendola a movimenti goffi e impacciati. La osservo mentre si cerca gli arti nascosti chissà dove, cercando di sbrigarsela da sola in queste piccole difficoltà da nana da giardino quale è.
Stamattina non avrei, in ogni caso, potuto darle troppo ascolto, anche se si fosse lamentata. Abbiamo preso la metro e un bus per arrivare al nido e infine fatto un pezzetto a piedi, che Vivi ha percorso in braccio: okay essere scoordinate per colpa di mamma, ma tesoro un piede dietro l'altro su, dai, forza. Quando mi sono accorta di aver alzato la voce una volta di troppo, ricordandomi spaventosamente mia madre nei tempi che furono, l'ho sollevata: le gambine aperte e ancorate attorno al mio bacino largo, le braccia sobbalzanti ad ogni mio passo spedito. A ripensarci ora, dovevamo essere imbarazzanti entrambe.

Ci siamo salutate un po' di corsa, ma questo lo facciamo sempre. Vivienne è matta per il nido e gli altri bambini e tutte quelle attività che le fanno fare, come dipingere coi piedi scalzi. Si dimentica di avere una madre non appena mettiamo piede nella sala comune ordinata e dal profumo di finestre aperte al primo sole invernale. La aiuto a togliersi lo scafandro e la bacio dove capita: una volta ci siamo date una testata, a mo' di arieti. Entrambe a testa bassa, per motivi differenti: io ero di fretta e distratta, lei stava osservando qualcosa sul pavimento di linoleum. 'Ocio amore... Ti ho fatto male?'. Indicava la carta di una caramella accidentalmente lasciata sul pavimento, e si stava piegando a raccoglierla. Una volta presa, se la girava tra i polpastrelli, con un'espressione che solo suo padre riesce a replicare con la stessa semplicità. Intenta in qualcosa che attira la sua attenzione, incapace di mascherare la scintilla di curiosità che le attraversa la mente, silenziosa nel momento dell'osservazione come un monaco tibetano, serissima e indisturbata. Ovviamente, compreso cosa avesse in mano, cioè dell'immondizia, l'ha piazzata a me, e anche qui mi ha strappato il sorriso delle connessioni aperte: sei come tuo padre, mi lasci gli avanzi di un mondo segreto che non vedo, chissà cosa vi frulla dentro quel cervello pazzo.

La giornata è andata bene per me, e quando rientro trovo i due già a casa, intenti a leggersi a vicenda un libro, uno di quelli che ho comprato io in un mercatino natalizio: coloratissimo, con animali personificati e cospiranti contro il contadino della fattoria. Il mio compagno mi ha urlato dal divano di correre là, vicino a loro. Signor sì, signore, mi sfilo le scarpe e sono vostra.
Vvienne ha tentennato quel quarto d'ora, come tutti i bambini quando gli si chiede di fare una cosa a comando. Ma suo padre non demordeva, 'Devi vederla, aspetta'. Sfogliando pagine a caso, finalmente siamo arrivati al punto in cui la gallinella della fattoria, protagonista della storia, forgia il suo carattere da condottiera e guida la rivoluzione contro il fattore. Vivienne ha sgranato gli occhi, scambiato uno sguardo d'intesa con il mio compagno ed esclamato la seguente parola: Maia!

Non so spiegare perché Viv chiami una gallina per nome, perché abbia scelto quel nome o perché si sia affezionata a lei più che agli altri animaletti della fiaba. Il mio compagno non me lo vuole dire, dice che è un segreto, e se solo rientrassi a casa prima, la sera, lo saprei anch'io. Scorretto da parte sua, alimentare i miei sensi di colpa. Però anche io custodisco un piccolo segreto: due ore fa, salutandola al nido, Vivienne mi ha chiamata mamma, fissandomi con quegli occhi attenti che rivedo solo in suo padre.