mercoledì 26 marzo 2014

Don't Worry Baby (cit)

Ciao lettori

In pausa pranzo seguiamo la dieta dello scrittore che, dovendosi arrangiare, scrive quando riesce, e vi regaliamo una piccolissima storia. Nel frattempo apriamo un attimo la finestra che il sistema si sta surriscaldando: la stanchezza ruggisce, ma dormiamo come mai prima. 

Enjoy insalatina tutti i gusti a 10 euro in centro, o toast al pc.
Soundtrack vivamente consigliato Don't Play That Song (You Lied) by The One and Only AF


Sto tornando a casa, controllando il cellulare e le chiamate perse di, unica e sola e inimitabile stalker of my life, mia madre, quando l'universo mi parla. Seduta davanti a me, una coppia di adolescenti vestiti da ultra trentenni, in una nuance di colore da far invidia al più medagliato degli stylist di Vogue. Minimal nella scelta degli accessori e perfettamente pettinati nella loro casuale acconciatura. Due piccioni senza fave con cui sfamarsi, pieni di loro stessi e del loro, evidente, amore. Si guardano, si distraggono, si riguardano, si ridistraggono. Un ritmo invidiabile, nato forse durante un compito di latino o matematica, nelle retrovie di un concerto estivo, in una giornata pigrissima davanti alla tv di casa. Simultaneamente, mi sembra, alzano e abbassano gli occhi grandi e vivacissimi, e capita si soffermino anche su di me. Chissà cosa vedono, e se lo specchio stamattina mi ha detto bene, o se ho sbagliato l'accostamento giacca/pantalone. Glielo chiedo quasi, poi rifletto: dio devo sembrargli obsoleta con questo chignon che non sta su neppure con le bombe, e la sciarpa strettissima al collo. Loro non hanno freddo, mentre io sono ibernata; ma quando ero giovane anche io sfidavo la temperatura altalenante di inizio primavera senza rischiare il tete à tete con il bagno la notte. E' una ruota che gira, mi dico, ogni tanto sarebbe bello girasse un po' meglio e senza tutte queste pause di riflessione e i tempi morti e le titubanze e i contratti a scadere, okay, ma è sempre una ruota che continua a girare. Ho provato a saltare giù, scendere tra una corsa e l'altra intendo, per vedere se, cliccando pause, l'atmosfera diventasse più nitida. Ma mi sbagliavo, e, anzi, stagnare ai lati mi ha gettata in uno stato di apatia, indolenza, insofferenza e, anche se non conclamata, depressione. Nulla di grave, niente di irrimediabile.

La verità è che vorrei alzarmi e sorridere ai due davanti a me: "Non tornerei mai alla vostra età. Ciao ragazzi, siete bellissimi, e bel cappotto". L'altra verità è che, per quanto mi sia costato caro ammetterlo, sono sempre più simile a mia madre che, testarda e dolcissima, si accinge alla terza chiamata in mezz'ora.

Nessun commento:

Posta un commento