lunedì 28 febbraio 2011

Quando Natalie Portman era Mathilda

Sono Candy Candy e salvavo Dereck in ospedale colpito da una granata mentre correva a cavallo.
Ti stai inventando tutto, la storia non è così.
Allora facciamo che sono Michelangelo, la tartaruga ninjia, e salvavo Dereck da Candy Candy che voleva ucciderlo perché lui le faceva i dispetti.
Non si può, è vietato mischiare i cartoni. Come ti chiami? 
Mathilda. Tu?
Carlotta.
Giochiamo che io sono Lady Oscar e facciamo la battaglia con le spade?
Ma che giochi fai?
Preferisci Holly e Benji? Io però faccio Mark Lenders che impara il calcio della tigre eh! Tu puoi fare Julian Ross. Si ammala ma è bravo prima di ammalarsi. E insieme vinciamo il campionato del mondo.
No, giochiamo a Barbie.
Facciamo finta che la Barbie è Sheila di Occhi di Gatto e rubava i quadri e poi scappava dal fidanzato scemo che non la riconosce mai mai mai?
Ma no! Uffa! No no e no. Ma non si gioca così uffa. Io non ci gioco con te.

Carlotta corre a casa, piangendo. 
Mathilda rimane sola in giardino. Fine febbraio, vento gelido, guantini con le dita tagliate ben infilati. Naso gocciolante, silenzio interrotto dal solo rumore dell'altalena cigolante. 'Aspetto Léon che torna, e poi facciamo la lotta'.





martedì 22 febbraio 2011

Segui il senso. Prima però trovalo.

Mi ha lasciata. (sigh)
Ancora?
Sì.
Aspetta che mi si attacca il sugo cazzo...
(sigh sigh e sigh)
No scusa, eccomi. Scusa ma il sugo che si attacca è pessimo. Poi la padella diventa tutta nera...
Bruciata vorrai dire (snorf snorf)
Sì, si brucia, esatto. E poi è un casino togliere il nero...
Ma non è nero! E' che si brucia cazzo! (sigh)
O o o o. Ohhhh!? Calmina eh ciccia, che quella mollata per la (uno, due, tre, quattro e cinque) quinta volta dallo stesso stronzo non sono io qui eh!?
Ma perché ho chiamato te e non mia madre!? Sarebbe stata più gentile (snooooorf più sigh)
Tua madre non ti parla da quando hai mollato il principe azzurro per lo stronzo in questione.
Ecco vedi, c'era un motivo valido (sigh)
Vuoi che parliamo seriamente o possiamo archiviare velocemente la faccenda? Ho un mal di testa....
Ne parliamo seriamente. E ti fai passare il mal di testa con un Aulin (snorf doppio carpiato)
Madonna, tu mi vuoi morta prima di avere un contratto a tempo indeterminato!
Eheheh.
Hai riso? Che era una risata soffocata dalla lagna quella che ho sentito mh?
No, era una lagna disturbata da un risolino perché sei una scema.
Amore. Lo rispiego. Stai attenda. Tu e lui non si può. Non lo vuole dio, maometto e neppure buddha. Nemmeno quelli di Scientology hanno mai raccolto fondi per voi. Siete due sfigati assieme. e l'umanità non può estinguersi perché voi due siete due sfigati.
Stavolta mi ha mollata per il mio bene (siiiiiiiigh)
Sì certo, stavo per dirlo io. Lo stronzo ti ha lasciata la quinta volta in due mesi perché ti vuole troppo bene. Anzi no, lui ti ama. E ha un progetto. Prima di distrugge, annienta il tuo senso critico, il tuo amor proprio, il tuo orgoglio, il tuo spirito di sopravvivenza. Poi, una volta che ti ha ridotta come un fazzolettino bagnato dal moccio di un bambino pieno zeppo di muco, e solo allora!, ti sposa.
Mi ha detto che non può vedermi così.
Così idiota? In effetti questa è la prima cosa intelligente che dice. Neppure io posso a dirla tutta.
Mi ha detto che però non sa se sia la scelta giusta. Lasciarmi.
E quindi, nel dubbio, ti lascia.
Sììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììììì sigh sìììììììììììììììììììììììììììììììììì sigh sììììììììììììììììììììììììì.
Facciamo che te la fai passare fino a che tra due / tre giorni torna strisciando e tu te lo riprendi con tutte le boiate che riesce a contenere? Vuoi? facciamo così dai.
Ok, aspettiamo. Magari torna in effetti.
Già, hai colto. Magari torna, magari tu ripiombi ai suoi piedi, io mi dispero per la nullità che sei, e lui gonfia  un ego già decisamente ingombrante. Dai, sì, facciamo così e non ne parliamo più.
Ok, grazie. Se non ci fossi tu, come farei.
Già, me lo chiedo anche io.


giovedì 17 febbraio 2011

Guru_The Selby Project

Sanremo è iniziato, dunque concentriamoci su altro.
Come i più fidati seguaci di O Bissi Boi sanno (si trovano su facebook e twitter), una cosa che mi piace molto fare è trovare guru. Ispiratori. Persone che scovano posti, mestieri, professioni e idee da seguire. Non per copiare, bensì per ispirarmi. Anzi, circondarmi di cose preziose.

La scoperta di qualche giorno fa è stata del tutto casuale. Cercavo informazioni, per informarmi su una cosa che non vi dirò. E mi sono imbattuta in un sito. The Selby.
Todd Selby è un fotografo di moda, un ritrattista d'interni, un illustratore. The Selby Project raccoglie una serie di foto che ritraggono interni di studi, locali, laboratori. Spazi in cui artisti (e non) vivono e lavorano. Ogni scatto focalizza un particolare. Ogni particolare compone un ritratto. Il sito, nato nel 2008, pubblica anteprime di servizi fotografici realizzati da Todd Selby per conto di famose testate (The Selby_Columnist for The New York Times Magazine's T Times) interviste e reportage sulle vite di artisti meno celebri (Pamela Love and JordanSullivan), campagne pubblicitarie di aziende internazionali e, ovviamente, immagini da tutto il mondo dedicate alla moda.

E' un sito parcogiochi. Però ordinato. Potete rubare qualche idea a Todd, potete trovare un po' di sana ispirazione, potete semplicemente scaricarvi qualche foto o visionare qualche filmato.

Mi ha colpito perché, fondamentalmente, riesce a essere molto professionale in ciò che propone, senza necessariamente risultare 'istituzionale'. Sarà pure marketing applicato, sarò ingenua e poco aggiornata su nuovi specchietti per le allodole. Ma chissene. E' un bel sito, che mi permette di scovare cose altrimenti nascoste, e fa meno male di una canzone di Anna Tatangelo.

A tutto tondo, è un sito che vi consiglio. Potrebbe non piacervi. In tal caso scrivetemi il perché. Non sarete eliminati, non siamo in una repubblica fondata sul televoto santocielo. E il pubblico non è sovrano, non qui.

domenica 13 febbraio 2011

JAFAR PANAHI WROTE A LETTER FOR YOU

Lontanissimo dal clamore degli scandali nazionali, ancora più lontano dalla piccolezza di un paese che non sa  e non si preoccupa di quello che accade fuori dal confine di Arcore, c'è un festival cinematografico che inizia.
La Berlinale 2011.
Ho dichiarato qui, in un post dell'agosto 2009, la missione di questo spazio. Rileggetelo. Non affogheremo nell'inutilità dell'ovvio, non disperderemo energie preziose in tafferugli da hooligans non ancora ammaestrati, non diventeremo sordi ascoltando le urla di chi non sa parlare, scrivere, recitare o cantare.

Un festival di cinema lontano dall'Italia, mi dico, potrebbe essere quello che ci serve. Potrebbe risvegliare il senso del bello, allontanare il dito medio dei parlamentari e comizi pieni di risentimento. Potrebbe rivolgersi ai giovani, ai piccoli, agli adulti senza essere nazionalopopolare. Potrebbe, udite udite, persino ricordarci che il pianeta Terra ruota attorno al proprio asse e attorno al sole nonostante in Italia sia tutto molto immobile.

A Berlino, in questi giorni (fino il 20 febbraio), non potreste però incontrare un giurato. E' in prigione. Non può uscire. Non può neppure più filmare quello che vorrebbe filmare, se è per questo. Durante la cerimonia di apertura del festival, la presidentessa di giuria, Isabella Rossellini, ha letto la lettera che questo regista ha scritto. Potreste leggerla, potreste poi seguire online (se non siete a Berlino) l'intera manifestazione, potreste ritrovare il buonumore, potreste riflettere molto. Potreste soprattutto riappropriarvi di un senso critico personale, reagendo alle cose ridicole che accadono qui volgendo lo sguardo altrove.

http://www.berlinale.de/en/das_festival/festivalprofil/berlinale_themen/openletterpanahi.html
'lettera di Jafar Panahi, in occasione della cerimonia di apertura della Berlinale 2011'

martedì 8 febbraio 2011

Untitled #02_Buone idee, ottime sensazioni

Ho provato a scrivere del GF di ieri sera, ma il pensiero di farvi del male mi ha trattenuta.
Nuova storia per tutti!

Siamo in veranda. Assolata, non calda. L’inverno è freddo, anche al mare. Ma vedere la spiaggia vuota, e sentire le onde, mi accalora. Mi stringo nella coperta, inspiro fino a riempire i polmoni, aspetto qualche secondo, espiro lentamente. Così ho la sensazione di essere una sportiva - che scema, così mi sembra facciano gli atleti dopo uno sforzo.

Dopo pranzo, senza avere pranzato. Ci siamo svegliati tardi, e abbiamo sostituito la pasta e l’insalata con il tè, lo yogurt e due brioschine spiaccicate, trovate nel fondo della mia borsa. Non abbiamo fatto molta spesa, e ci siamo finiti i rimasugli di quello che ci siamo portati per il viaggio. Milano – Marina di Massa. In macchina. Noi due soli, più il suo cane. Urca, si chiama così. Una bastardina che Angelo mi ha detto di avere trovato nel canile gestito da un suo caro amico. Una cucciola, cresciuta con lui. Come Nana, la cagna babysitter del cartone animato Peter Pan della Disney. Un animale che sa cosa fare e come farlo, per assistere Angelo nella vita di tutti i giorni. Dico siamo in veranda, ma mi accorgo solo ora che sono sola. Giro la testa verso la portafinestra, allungo il collo, divento una contorsionista circense, pur di non alzarmi da questa poltrona, al sole, davanti al mare. Mi sembra ingiusto scomodarmi, ingiusto verso me stessa intendo. Così cerco Angelo massimizzando la posizione in cui sono. Ovviamente non lo trovo, e neppure mi viene in mente di chiamarlo. Il silenzio attorno si offenderebbe, ‘Come osi tu, cittadina ingrigita, disturbare questa calma tramandata dal mare alla sabbia, dalla sabbia ai gabbiani, dai gabbiani al porto, dal porto ai marinai?’. Infatti non apro bocca, se non per finire il tè caldo. Sono indolenzita. Che muscoli flaccidi, direbbe Angelo. D’un tratto ricordo. E’ andato a correre in spiaggia, con Urca, che lo seguirebbe in capo al mondo, al contrario di me - è ormai evidente. Mi rilasso ancora di più; come se sapere che lui si sta allenando mi autorizzi a poltrire con maggiore convinzione. Essere coppia, in due, complementari. Lui si muove, io posso starmene seduta. Sorrido del pensiero stupido, anche se in fondo vero, se non mi alzo ancora dalla poltrona di vimini (e dal cuscino bianco morbido e pulito su cui ho posato più di un’ora fa il mio didietro). Guardo il mare davanti, tamburello i polpastrelli della mano destra sulla poltrona, allungo il braccio verso il pavimento, appoggio la tazza di tè. Il pensiero di dover già tornare a casa, stasera, mi intristisce. Poi arriva Angelo, e una folata di caldo con lui. 

Poltrona! Sei ancora qui? Oui. Mi faccio la doccia, poi ti va di uscire in paese? Oui. Ho corso fino lo stabilimento 17, lo vedi laggiù? Ecco fino là. Urca per  fortuna non si è lanciata in acqua, sennò sai che palle dopo…?! Oui. C’è qualcosa Madda, che c’hai? Niente niente, pensavo. Angelo si accuccia di fronte a me, le mani sui poggioli della poltrona. Sono in trappola, davanti all’orco sudato e alla sua fidata compagna, Urca. Entrambi mi fissano, affaticati dalla corsa. Sei buffo con quel cappello in testa. E’ l’unico modo per non congelarmi le orecchie. Sì ma sei buffo ugualmente. Posso togliertelo ora? Angelo se lo leva da solo, e prima di appoggiare nuovamente la mano sulla poltrona, si sfrega il naso. Dai, lavati che puzzi adesso. Urca abbaia, difende così il suo padrone dalle offese. Oh piccola bastarda, tu sei di parte, dico staccando la schiena dai cuscini. Angelo muove la testa, guarda il cane, guarda me. E’ gelosa, dice. Lo so, rispondo. Ma ti vuole bene. Ahhhh dici? Glielo sto imponendo io. Ahahah. Prendo la faccia di Angelo tra le mani, la barba di qualche giorno punge, e il calore della sua pelle sudata è forte. Lo bacio come se stesse per partire, se non ci dovessimo vedere per tanto tanto tanto tempo. Lo faccio sempre con lui, perché mi sembra sempre che possa andarsene e lasciarmi lì, per un tempo infinito, come una Penelope qualsiasi. Non so se lui lo ne sia consapevole quanto me,  ma è questa sensazione di precarietà che mi lega a lui. L’insicurezza del nostro rapporto, che non è neppure un rapporto. Siamo uno più due (ossia Angelo e il cane), non sappiamo ancora cosa siamo insieme, ma ci piace molto baciarci come un marinaio in partenza, un’infermiera del dopoguerra, due ragazzini ad un concerto. Al momento non ci chiediamo molto di più. Lasciamo che sia Urca ad abbaiarci contro, per farci alzare entrambi, verso la doccia.

lunedì 7 febbraio 2011

Untitled #01

Una persona mi ha chiesto di scrivere sull'egoismo. 
Dovrebbe essere facile, per me. Io sono l'egoismo. Io sono brava. Papà da sempre lo dice spesso 'Tu basti a te stessa'. E' una cosa falsa, lo so: no man is an island. Ma non contraddico papà, che in fondo mi ha dato gambe dritte, occhi verdi e bocca a cuore.


Però, pensandoci bene, mi è davvero difficile scrivere una storia sull'egoismo. Penna ferma. Nessun ticchettio sulla tastiera. Pensieri da nebulosa. Buco nero, Margherita Hack che ride nell'angolo urlandomi 'Te ti credi brava, ma te dovresti andare ad arare i campi'. 


Per autoispirarmi, per dare una favola alla persona che voleva riflettere sull'egoismo, mi siedo col pc sulle gambe. Apro youtube. Ascolto canzoni random. La persona che mi ha fatto una richiesta tanto insolita, mi dico, si merita molto di più che una stupida storiella su un sentimento tanto brutto quanto diffuso.


A lei, a questa persona speciale, che non usa social network ma che segue il mio scrivere così lontano dal suo mondo fatto di righe, linee, calcoli e cantieri, dedico una storia molto breve.

Ti piace allora?
Mh, un po'.
No no no. Me lo devi dire adesso. Ti piace sì o no?
Ma sì, ti ho detto che un po' mi piace. Solo è complicato.
Diciamo che sei un culo pesante e che non ti vuoi sbattere ma che lui ti piace. Definizione corretta?
Punto primo ho un culo leggerissimo, punto secondo lui non so se ecco io e poi boh mica cioè.
Ti sei persa un concetto per strada mi sa.
E' difficile per me, lui è così strano.
Ma tu sei la regina degli strani. Tu non mangiavi carote per paura di diventare arancione, tu ballavi sola davanti agli specchi del cesso di casa, al mattino, prima di andare all'asilo. Tu non mi hai fatta dormire per tre mesi per paura di un gatto che ti mangiava le pupille in un incubo. Tu...
Avevo tre anni Giulia, ero piccola e un gatto aveva seriamente attentato alla mia vita, tra parentesi.
Vedi? Sei strana. Credi ancora che il cespuglio di peli del vicino ti volesse male! Dai Milena, sei la mia sorella strana e lui, lui, quel ragazzo che dio ha mandato dal cielo dopo aver ascoltato le mie preghiere, lui è un pazzo scatenato. E si scatenerebbe con te alla perfezione.
Non consideri che non ho voglia di sbattermi.
Non consideri che potresti volergli bene senza troppi sbattimenti.
Non consideri che ci siamo solo scambiati il cellulare dopo un limone.
Non consideri che il cellulare serve per moltiplicare il numero di limoni.
Non consideri che...
Piantala adesso eh!
Mi stavo divertendo, scusa... Senti Giu, perché fai tutto questo? Perché insisti tanto?
Perché ti voglio bene come quando da bambina mangiavo le tue carote per evitare che mamma ti mettesse in castigo, cantavo seduta sul bidet osservandoti mimare Lorella Cuccarini con la spazzola in mano e ti dicevo che il gatto l'avevo ucciso con le mie stesse mani.