martedì 8 febbraio 2011

Untitled #02_Buone idee, ottime sensazioni

Ho provato a scrivere del GF di ieri sera, ma il pensiero di farvi del male mi ha trattenuta.
Nuova storia per tutti!

Siamo in veranda. Assolata, non calda. L’inverno è freddo, anche al mare. Ma vedere la spiaggia vuota, e sentire le onde, mi accalora. Mi stringo nella coperta, inspiro fino a riempire i polmoni, aspetto qualche secondo, espiro lentamente. Così ho la sensazione di essere una sportiva - che scema, così mi sembra facciano gli atleti dopo uno sforzo.

Dopo pranzo, senza avere pranzato. Ci siamo svegliati tardi, e abbiamo sostituito la pasta e l’insalata con il tè, lo yogurt e due brioschine spiaccicate, trovate nel fondo della mia borsa. Non abbiamo fatto molta spesa, e ci siamo finiti i rimasugli di quello che ci siamo portati per il viaggio. Milano – Marina di Massa. In macchina. Noi due soli, più il suo cane. Urca, si chiama così. Una bastardina che Angelo mi ha detto di avere trovato nel canile gestito da un suo caro amico. Una cucciola, cresciuta con lui. Come Nana, la cagna babysitter del cartone animato Peter Pan della Disney. Un animale che sa cosa fare e come farlo, per assistere Angelo nella vita di tutti i giorni. Dico siamo in veranda, ma mi accorgo solo ora che sono sola. Giro la testa verso la portafinestra, allungo il collo, divento una contorsionista circense, pur di non alzarmi da questa poltrona, al sole, davanti al mare. Mi sembra ingiusto scomodarmi, ingiusto verso me stessa intendo. Così cerco Angelo massimizzando la posizione in cui sono. Ovviamente non lo trovo, e neppure mi viene in mente di chiamarlo. Il silenzio attorno si offenderebbe, ‘Come osi tu, cittadina ingrigita, disturbare questa calma tramandata dal mare alla sabbia, dalla sabbia ai gabbiani, dai gabbiani al porto, dal porto ai marinai?’. Infatti non apro bocca, se non per finire il tè caldo. Sono indolenzita. Che muscoli flaccidi, direbbe Angelo. D’un tratto ricordo. E’ andato a correre in spiaggia, con Urca, che lo seguirebbe in capo al mondo, al contrario di me - è ormai evidente. Mi rilasso ancora di più; come se sapere che lui si sta allenando mi autorizzi a poltrire con maggiore convinzione. Essere coppia, in due, complementari. Lui si muove, io posso starmene seduta. Sorrido del pensiero stupido, anche se in fondo vero, se non mi alzo ancora dalla poltrona di vimini (e dal cuscino bianco morbido e pulito su cui ho posato più di un’ora fa il mio didietro). Guardo il mare davanti, tamburello i polpastrelli della mano destra sulla poltrona, allungo il braccio verso il pavimento, appoggio la tazza di tè. Il pensiero di dover già tornare a casa, stasera, mi intristisce. Poi arriva Angelo, e una folata di caldo con lui. 

Poltrona! Sei ancora qui? Oui. Mi faccio la doccia, poi ti va di uscire in paese? Oui. Ho corso fino lo stabilimento 17, lo vedi laggiù? Ecco fino là. Urca per  fortuna non si è lanciata in acqua, sennò sai che palle dopo…?! Oui. C’è qualcosa Madda, che c’hai? Niente niente, pensavo. Angelo si accuccia di fronte a me, le mani sui poggioli della poltrona. Sono in trappola, davanti all’orco sudato e alla sua fidata compagna, Urca. Entrambi mi fissano, affaticati dalla corsa. Sei buffo con quel cappello in testa. E’ l’unico modo per non congelarmi le orecchie. Sì ma sei buffo ugualmente. Posso togliertelo ora? Angelo se lo leva da solo, e prima di appoggiare nuovamente la mano sulla poltrona, si sfrega il naso. Dai, lavati che puzzi adesso. Urca abbaia, difende così il suo padrone dalle offese. Oh piccola bastarda, tu sei di parte, dico staccando la schiena dai cuscini. Angelo muove la testa, guarda il cane, guarda me. E’ gelosa, dice. Lo so, rispondo. Ma ti vuole bene. Ahhhh dici? Glielo sto imponendo io. Ahahah. Prendo la faccia di Angelo tra le mani, la barba di qualche giorno punge, e il calore della sua pelle sudata è forte. Lo bacio come se stesse per partire, se non ci dovessimo vedere per tanto tanto tanto tempo. Lo faccio sempre con lui, perché mi sembra sempre che possa andarsene e lasciarmi lì, per un tempo infinito, come una Penelope qualsiasi. Non so se lui lo ne sia consapevole quanto me,  ma è questa sensazione di precarietà che mi lega a lui. L’insicurezza del nostro rapporto, che non è neppure un rapporto. Siamo uno più due (ossia Angelo e il cane), non sappiamo ancora cosa siamo insieme, ma ci piace molto baciarci come un marinaio in partenza, un’infermiera del dopoguerra, due ragazzini ad un concerto. Al momento non ci chiediamo molto di più. Lasciamo che sia Urca ad abbaiarci contro, per farci alzare entrambi, verso la doccia.

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