mercoledì 3 settembre 2014

For the Babies

Ciao lettori

Sottotitolo: ne ho avvistati talmente tanti in vacanza, che non posso fare a meno di dedicargli un post. Perché sono da mangiare da piccoli, per evitare che diventino grandi, ed irresistibili, soprattutto se sono degli altri.

E stands for Enjoy Ettore Everybody!


Mentre leggevo una rivista, ho visto che mio figlio cercava di alzare il sedere pesante che si ritrova, rotondo e gommapiumato, facendosi forza con le braccia e i gomiti e le mani e la testa volendo, sprofondando, tentativo dopo tentativo, nei cuscini per terra. Puf! again. Ho lanciato la rivista chissà dove e mi sono seduta sul divano di fronte a Ettore, il mio bambino.
Lui era appena caduto e intravedevo dello sconforto nei suoi occhi stanchi delle otto di sera. Le sue giornate sono lunghe e impegnative, principalmente a causa della nonna che gli abbiamo appioppato affinché si tenessero d'occhio a vicenda di giorno, mentre lavoriamo. La nonna ed Ettore sono una coppia davvero simpatica, se la intendono alla perfezione, e piangono entrambi quando la mamma, moi meme, torna dal posto in cui sta otto ore 'per rilassarsi', come puntualizza la nonna di Ettore. Quindi io, rilassata e decontratta come un petalo di rosa cresciuta nel giardino di Versailles all'ombra dei putti che furono di Maria Antonietta, acchiappo mio figlio per il girovita morbido e lo piazzo in macchina, lanciandomi, un po' come la rivista di cui sopra, versa casa mia.
Nella nostra dimora tutto è sottosopra: il giovedì è il giorno peggiore, e se fossimo in un telefilm americano in cui i servizi sociali passano ad minchiam a controllare che tutto sia a posto in famiglia, saremmo fottuti. Invece mi basta caricare la lavastoviglie e farla partire, a bomba con la lavatrice, e spostare i giochi di Ettore dietro la porta: a colpo d'occhio sembra tutto ok, e la prima impressione conta sempre molto.
Ettore ha quasi un anno, un anno per me durato 439.543 anni: è nato piangendo, e non ha ancora finito le scorte di tristezza cosmica. E' un tipino sensibile, dice suo padre, come me, aggiunge. I 'tritura coglioni' che vivono con me, qui, li chiamano 'uomini sensibili', nota a margine. Comunque, in questi quasi 12 mesi di vita, Ettore ha sempre avuto una mobilità un po' rallentata, per usare un eufemismo. Urlava come un pazzo se non aveva quello che voleva, ma a mala pena smuoveva il pannolino per raggiungerlo. Sono arrivata a sperare che strisciasse; sarebbe stato un primo passo. Così abbiamo deciso di fargli fare visite approfondite ed esami. Il padre lo faceva saltare sulle gambe, gli tirava palloni di spugna, accennava passi di danza; io semplicemente li osservavo con il cuore sempre più piccolo.
Dopo due mesi di minuziosi controlli, guidati da un pediatra preparato e professionale e buffissimo con Ettore, il responso è stato deludente: "Vostro figlio non ha nulla. E' sano, cresce bene, rientra in tutti i parametri. Gli ci vuole tempo, più che ad altri bambini. Continuate a stimolarlo, state facendo un ottimo lavoro e non c'è motivo per cui preoccuparsi".
Avevo un figlio pigro, il che sarebbe stato perfetto se non fosse che, come spiegazione, avrei voluto qualcosa di più, e ovviamente una cura, una medicina, e una terapia da seguire. Qualsiasi cosa ma non aspettare. Invece è esattamente quello che abbiamo fatto, tutti e tre, ognuno a modo suo. Ettore dormendo sonni tranquilli e cagando il bendidio, io fingendo serenità, il padre attento ad ogni sfumatura, silenzioso come la roccia più forte su cui sapevo di potermi appoggiare. Siamo andati avanti così per un periodo infinito, durato poco meno di cinque mesi in realtà: siamo stati bravi.

Ettore ieri sera ha camminato, dal nulla ha preso e ha camminato. Si è intestardito, sforzandosi con ogni parte del corpo, e al ventesimo tentativo è riuscito a stare in equilibrio sulle gambe per più di due secondi e fare altrettanti passi. Io ero seduta di fronte a lui, suo padre in piedi dietro di noi. Non so se sia la fine di un incubo, o solo un vana speranza di vederlo finalmente muoversi indiavolato, ma un sollievo così non ricordo di averlo mai provato. Ho pianto incontrollatamente per la prima volta da quando è nato, riassaporando la sensazione viscerale che la rivista che stavo leggendo sbrigativamente definirebbe 'la gioia di essere madre', ma che mi piace di più farvi credere sia simile ad un tamburo appoggiato al petto, battuto con forza e coraggio e incondizionato amore.

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