domenica 25 settembre 2011

A Planet called Sadie

Sadie ormai era una trentenne. Giovane sì, ma trentenne. Praticava corsa su tapis roulant con cuffiette che non stavano nelle orecchie e cadevano a ogni cambio di marcia. Poi usciva con amici, partecipava a cene, puliva qui e là il suo appartamento, faceva lavatrici dopo le 19 per risparmiare energia e soldi. Sgarrava ogni tanto, sia con le lavatrici che nella vita. Per disattenzione, pigrizia, voglia di cambiamento. Eccitazione da centrifuga pomeridiana, roba per stomaci forti. Con i morosi, li chiamava tutti così, seguiva lo schema dell'elettrodomestico: cercava il risparmio energetico per salvaguardare le relazioni da isterismi e Armageddon senza colonne sonore cantate da Steve Tyler. Ma poi scivolava verso discussioni, dibattiti, faccia a faccia, ring e paradenti. Niente, si diceva, anche questa è andata. E Sadie tirava la linea, la superava, filava davanti a sé come un gatto delle nevi in una notte stellata di dicembre, con guanti antigeloni e un po' di moccio. Il freddo si sente anche se imbottiti dopotutto, ma un naso colante si dimentica con agilità, diceva. Sceglieva sempre tipi sbagliati, era vero, ma aveva forza d'animo e amava molto la sua vita. L'assenza di drammi, la bilancia delle emozioni tarata sulle cose importanti, i soldi come mezzo di sostentamento, i momenti di solitudine e grazia, il silenzio impagabile prima del sonno. Selezionava i consigli, non prendeva appunti, aveva ottima memoria fotografica. Ruotava attorno alle persone, come un pianeta con il suo sole. Non era una stella brillante e lontana, non luccicava per illuminare zone d'ombra. Lei si muoveva, e questo non lo sanno fare tutti.

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