domenica 15 aprile 2012

'Anche al paziente più miserabile e reietto è concesso di poter decidere della propria cura e del proprio destino' (cit.)

Ciao lettori.
Molti pensieri, poca lucidità.
Eppure. Eppure leggete qui.

Enjoy il vostro fidanzato mentre si alza per guardare il GP ma è palese che ha sonno e al primo giro farà le bolle sul sofà.


C'è un momento non molto preciso in cui il mio cervello tutto, emisferi allineati, ragione e sentimento docili e amorosi, si ricompone. Il nodo composto che non fa passare l'ossigeno si scioglie lento, sotto le mani di un marinaio. L'ho fermato, gli ho chiesto di insegnarmi come si fa, e di baciarmi proprio qui, sulla ferita purulenta.

Lui si è piegato, in ginocchio mi ha adorata, piano mi ha osservata. Accarezzando rugoso il mio male, si è mostrato fragile ai miei occhi lucidi e gonfi. Piangevo tanto allora, piango molto anche adesso. Quando il marinaio mi trova, chiusa a riccio sul pavimento, mi chiama per nome e aspetta silenzioso. Non sono sempre pronta a rispondere, non sono sempre dolce e armoniosa nei movimenti. Ultimamente stringo forte i pugni, fuori dalle tasche, poggiati alle ginocchia, rossi e vibranti di rabbia e lamento. Recito una litania insopportabile, pesante più del piombo. Perseguo un pensiero illogico, ma ossessionante, e lacrimo.

'Io vorrei per la tua felicità poter godere di questa quiete'
(cit.)


Quando ci troviamo a parlare con la bestia che mi sonnecchia dentro, il marinaio si siede e decide che è così che devono andare le cose, che il destino lo faremo insieme, che mi ama anche senza pastiglie per il mal di testa. Non troveremo la pace, non saremo profumati a festa.

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