sabato 8 gennaio 2011

Muhammad Ali / I am the Greatest

Una festa è esattamente quello che ci vuole.
Ciao. Ciao. Ti conosco... tu sei. Ehm no, mi scambi per un'altra persona. Comunque piacere, mi chiamo. Ma Scusa io sono qui solo per non essere a casa (penso). Quindi adesso ti sorrido, mi volto, sparisco nella folla (finisco di pensare).

Due ore. Due ore sono una buona media. Il tempo per bere, chiaccherare senza interesse, guardarsi attorno, ridere almeno una volta, sorridere di default. Basta dare l'impressione di essere abituati al bla bla bla. Di aver letto l'ultimo libro di XX, avere ovviamente un'opinione in merito, storcere la bocca e ondeggiare la testa per sottolineare quanto sia fedele alle mie idee, tornare a bere per porre fine alla conversazione.

Come farebbe Muhammad Ali, già Cassius Clay, mi muovo veloce, saltello sulle punte, stordisco gli interlocutori per evitare il colpo ferale, quello che stende l'entusiasmo ed il piacere della convivialità. Ovvero:
La coppia sposata che parla del viaggio di nozze.
La neomamma che elenca i mille più uno modi di ruttare del figlioletto.
Il manager appena tornato da un'estenuate riunione coi cinesi.
La donna in carriera che cavalca la crisi.
L'intellettuale / universitario / ricercatore contro il Governo, l'Antigoverno, l'opposizione, i comunisti e l'Impero del Male.
L'uomo in silenzio che nasconde dientro al silenzio la totale mancanza di argomenti, ma che sembra interessante (in virtù del suo mutismo).
Tutti, pensandoci, sono potenziali Joe Frazier. Tutt potrebbero darmi il KO, aprire il baratro della noia, farmi pentire di essere uscita stasera.

Poi l'inatteso. Un bellissimo ragazzo. Mischiato agli altri, nascosto da uomini e donne che già ho dimenticato, sottotono rispetto ai lustrini. Non si fa largo. Ammicca in continuazione, è a caccia. Mi ricorda il cervo di The Deer Hunter, Il Cacciatore di Michael Cimino. Gran film. E pure questo ragazzo, gran ragazzo.

Si morde il labbro, parla con amici, beve. Appoggia la birra, si accende la sigaretta. La sensazione di piacere, i muscoli rilassati, lo sguardo indagatore. La barba scura, sciupata, non voluta, ma cresciuta un po' per caso. Riccioli, tanti riccioli. Una valanga di riccioli. Di quelli che hai voglia di spettinare, di accarezzare, di arrotolare, di tirare. Mi rendo conto di essere in fissa. Con sforzo distolgo lo sguardo, sperando di non pererlo di vista. Continua ad essere appoggiato alla parete, non si sa mai cadesse la stanza. Non sa ballare, non sente il ritmo, evita il ridicolo ella pista. Peccato, se avessero messo la lambada avrei compreso, ma con questa musica da cheek to cheek è davvero un peccato che lui non accenni neppure un movimento. Mi chiedo chi sia. Cosa faccia. Di chi sia amico. Magari è capitato qui, magari è il vicino del piano di sopra sceso per lamentarsi del rumore. Magari è un pirata venuto dalla galassia di FRDGTS che ci salverà dall'imminente fine. Magari ho bevuto troppo.

Decido di andare, sono stanca, i piedi li ho persi un'ora fa, le scarpe le sto odiando, e il vino è finito. cerco il cappotto, la padrona di casa mi indica la sua stanza. E' lì, dice. Mi scontro con il ragazzo bellissimo. Il corridoio è stretto, i mobili sono tanti, la gente mormora e soprattutto è sempre in mezzo alle palle.
Scusa. No niente. Cerchiamo le nostre giacche sul letto, per terra, sulla sedia. Io ho un piumino ingombrante, mi maledico. Sembro l'omino Michelin bardata così. Lui alza lo sguardo, ride. Di me. Sì lo so, dico. E' la reazione di tutti. Ride di nuovo. Non ci credo, lo faccio ridere. Che amarezza immensa elevata al cubo. Che destino beffardo. Che sfiga. Lui è il dio greco sceso dall'Olimpo per accoppiarsi con una comune mortale, e trova il pagliaccio che lo fa spanciare dalle risate. Scuoto la testa, inconsapevolmente credo. Cosa c'è? dice lui. Non trovi qualcosa? Devo fare una faccia da punto interrogativo, perchè lui mi spiega. Sembra che tu abbia perso qualcosa, è per quello che chiedevo. Ah no no no no no. Un no in meno ci stava, penso. Lui ride. Gli sto simpatica. Rido pure io, per cortesia più che altro. Non ci trovo nulla di divertente personalmente, ma il suo sorriso è talmente bello che è un peccato non assecondarlo. In piedi, entrambi pronti per uscire, ridiamo come due scemi. Te ne vai? dice. No, avevo freddo sai. Ride. Devo smetterla di sparare cazzate, non sono un comico, e soprattutto non è sexy. I suoi occhi si fanno dolci, cioccolato fondente colante. Gratta la barba, arruffa i ricci, finisce di ridere, deglutisce, sorride. Abiti lontano?, mi chiede. No, anzi torno a piedi. Qui sto soffocando, sono vestita da uomo delle nevi da dieci minuti, avrò i funghi sotto le ascelle ormai. Appena concudo la frase mi rendo conto di quanto sia inopportuna a volte. L'immagine di funghi sotto le ascelle è disgustante cazzo. Lui ride. Ancora! Sono la regina degli scemi. Brava. Complimenti. Mi stringo le mani da me, perfetta imbecille. Allora sbrighiamoci, usciamo, dice.

La volpe nascosta in me, sotto cumuli di demenza, si sveglia.
Nota il suo sguardo.
La mano dietro la schiena mentre mi accompagna alla porta (nonostante il piumino che indosso. Mica male).
Le labbra mordicchiose.
La sigaretta che si fuma per strada, chiedendomi in che direzione dobbiamo andare.
La sosta sotto il mio portone.
Il momento di pausa mentre cerco le chiavi nella borsa di Mary Poppins.
Alzo la testa. Lui si avvicina. Abiti qui? Sì, rispondo, evitando la battuta "no, mi piace fermarmi davanti portoni a caso alle due di notte". Saliamo, ti va? Fa freddo e io non ho il piumino addosso sai.

Cosa ho risposto? Sono stata zitta. E ho riso io.

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