sabato 29 gennaio 2011

Non leggo i giornali. Sono i giornali che leggono me.

Il titolo di questo post potrebbe suonarvi poco comprensibile. E' liberamente ispirato ad una battuta di un film, Tropic Thunder (2008) di Ben Stiller. Ed è l'espressione che sintetizza l'aggressione cui sono sottoposta. Buona lettura (e se volete ridere un po', guardatevi il film. Demeziale fino alle lacrime).

Evito scurrilità da quando anche a Porta a Porta, su larepubblica.it e nei tiggì tutti fanno lo spelling, sillabando al meglio delle proprie possibilità vocali, prendendo fiato e stando ben dritti con la schiena, le seguenti parole.
Puttana. 
Puttanate
Sputtanamento.
Puttaniere.
Coglione.
Coglioni.
Merda.
Stronzate.
Culo.
Cazzo.
Cazzate.
Cazzone.

Sono irritata. Mi gratto, e, avendo la cute sensibile, mi riempio di chiazze rosse. Come la Pimpa. Vi sembra giusto? Vi sembra corretto che debba pagare io, letteralmente sulla mia pelle, il generale bunga-bungamento linguistico in cui suini vecchi e nuovi si rotolano senza pensieri se non quello di mangiare e bere fino a che ce n'è?

Eviterei tale supplizio. Soprattutto perché dover saltare piè pari le prime dieci pagine del quotidiano, scrollare il sito internet del caso fino alla sezione 'animali e curiosità dal mondo' e mettere il muto ai primi 15 minuti del tg3 sta diventando una pratica fastidiosa. E' un disservizio evidente, penso. Coloro i quali mi costringono a leziose lezioni di politica, malaffare, morale ed etica applicata, dovrebbero provare a fare il loro mestiere con 1200 euro netti al mese. Si trastullerebbero ancora con filmati, filmati di filmati, arringhe, dibattiti, opinion talk show, tribune, sondaggi ed interviste dalle domande davvero ma davvero ma davvero cattivissime e geniali (roba da Premio Pulitzer)?
Forse sì. Ma avrebbero anche loro rughe profonde, occhiaie violacee, colorito verde militare, capelli in caduta libera, ripetuti acciacchi alle ossa. Poiché le preoccupazioni incrociate di mutui da pagare, bollette da coprire, vacanze low cost da acchiappare, parcheggio da trovare e sconti da scovare, ne sono certa, attanaglierebbero i loro sonni, riunioni e vite sociali. Con il risultato di togliere veemenza, vigore, slancio e passione alle loro trasmissioni, ai loro scritti e alle loro opinioni così tristemente fuori sincrono rispetto la deriva italiana.

Aspettando che accada l'impossibile, applico il buonsenso ed elimino turpiloqui, volgarità e gergo scurrile dalle mie conversazioni. Lasciando che i matusa e le firme autorevoli regrediscano allo stato brado della lingua italiana. Poiché il karma esiste, tutto alla fine (ma anche prima) torna, la matematica non mente, e i buffoni di corte muoiono soffocati nei loro stessi escrementi. Invocando l'applauso del pubblico pagante, che spero segua ora il mio consiglio. Soggetto + verbo + complemento. Tutto il resto, è il resto appunto. Liberatevene.

mercoledì 26 gennaio 2011

If Noel Gallagher was in front of my door

Potendo scegliere, sceglierei lui.
Per un solo unico motivo, che surclassa ogni altra ragionevole ragione, e direi 'I WANT YOU'.

La sua voce.
Triste e malinconica come solo la brughiera inglese. Avete mai attraversato, che ne so, la campagna dello Yorkshire? Con la puzza di concime naturale, le colline molli che si alternano e il cielo d'Inghilterra che vi minaccia. Oppure l'Oceano nella contea del Devon, con lunghi moli e cittadine un po' tutte uguali che in estate diventano parchi giochi per carovane di giovani europei in vacanza studio. Dove non c'è sabbia, in spiaggia, ma sassolini fastidiosi quando uscite dall'acqua dopo il bagno in piena notte. E onde antipatiche, e bagnanti pallidissimi, magari vestiti, agli antipodi dalla ridente riviera italiana.

Noel potrebbe cantarmi persino l'ultimo bellissimo romanzo di Alfonso Luigi Marra, volendo. Io in piedi davanti alla porta, pronta ad uscire, con giacca e stivali, di fretta, e umore sverso. E lui mi fermerebbe sull'uscio. Scusa, ma ti voglio cantare una canzone. Momento di suspence. Scusa, ma non credo di voler essere la protagonista di un film di Moccia. Noel non indietreggerebbe davanti all'acidità italica, e intonerebbe senza pietà *Strawberry Fields Forever*. Impavido, sceglierebbe i Beatles. Un guerriero timido, abbracciando la sola chitarra, non ascolterebbe le critiche di chi, panzone e poco coraggioso, dichiarerebbe 'Ma dove vai, piccoletto di Manchester? Lascia perdere i classici, lascia.'

Let me take you down, 'cause I'm going to Strawberry Fields.
Nothing is real and nothing to get hung about.
Strawberry Fields forever.

Colpita sotto la cintola, alzo la paletta 'evidente scorrettezza nella danza dell'amore'. Mi accuccerei per terra, con la porta aperta, la guance tra le mani, sfregandomi le gote rosse, pensierosa. Attenta Maddalena, non esistono più i menestrelli di una volta.

Living is easy with eyes closed, misunderstanding all you see.
It's getting hard to be someone but it all works out.
It doesn't matter much to me.

Buono Noel, stai buono. Non dire cose che non pensi.
Ma la sensazione sarebbe innescata. La voce da croccantino glassato, che si spezza e spezza e rispezza. In bocca, sottili schegge di piacere. Pungenti e deliziose, si scioglierebbero come le caramelle da succhiare.
Allora non mi resterebbe che leccarmi le labbra, mordicchiare le unghie, ciucciarmi il calzino.
Always know sometimes think it's me, but you know I know and it's a dream.
I think I know of thee, ah yes, but it's all wrong.
That is I think I disagree.

Con i giochini di parole sei bravo, eh!? Un leggerissimo mal di testa, dal collo un dolore cervicale, a salire fino al lobo frontale destro. Pulsante, intermittente. E' il mio corpo che reagisce, penserei. Troppe parole, troppa delicatezza, troppa ruggine che cade, troppe ruote che riprendono a girare tutte assieme. Un'esplosione di cashmire, e non saprei né come né dove ripararmi a questo punto.

Let me take you down, 'cause I'm going to Strawberry Fields.
Nothing is real and nothing to get hung about.
Strawberry Fields forever.
Strawberry Fields forever.
Strawberry Fields forever.


lunedì 24 gennaio 2011

Lettera a un figlio che nascerà

Sarai innanzitutto un uomo per bene, un biondino dallo sguardo di ghiaccio che non abuserà del suo fascino per inchiappettarsi ragazzine a destra e a manca.

Avrai dalla tua la mia intelligenza sopraffina, difficile da tenere a bada, ma capace di fermarsi quando capisce di non poter avanzare oltre. Il senso del limite, il proprio, lo capirai da solo con l'esperienza, i fallimenti, le opportunità fuggite, i treni persi e qualche schiaffo di mamma (segnati questo: uno schiaffo non ha mai fatto male a nessuno. Uno, non due).
Da tuo padre, invece, prenderai il gusto per la risata liberatoria, in grado di sdrammatizzare insuccessi e delusioni, e ovviamente gambe muscolose, agili, pronte a darti la spinta per risalire in sella dopo ogni caduta.
Non ti comprerò completini coordinati, non perchè io sia snob, più che altro perchè non sono mai stata capace di abbinare colori e nuances come dio comanderebbe. Quindi sarai, sin dall'inizio, uno abituato a vergognarsi del proprio vestiario. E questo, credimi, ti renderà abilissimo nell'affinare un tuo gusto personale- che non ostacolerò, prometto/giuro.

Amerai donne (o uomini) con tutto quello che avrai a disposizione: un cervello, delle mani, un corpo intero e pulsante, e soprattutto dignità. Ti insegneremo, tuo padre ed io, che ci sono cose che non si possono fare. E non intendo canne, spinelli, droga, pasticche. Parlo del rispetto per te stesso, e per chi avrai la fortuna di incrociare, conoscere, baciare o anche solo sfiorare. Non dimenticherai cosa significa avere dei valori radicati nella tua anima, come radici di un campo di ulivi in Toscana.
Ti indicherò alcuni esempi da osservare, poichè così è come sono cresciuta io. Aperta verso il mondo, fragile e senza corazze, curiosa e pensierosa. Ti farò conoscere i miei amici, scelti tra tutte le persone che ho incontrato. Di loro ti potrai fidare, e da loro imparerai tutto quello che non sapremo insegnarti noi genitori.

Crescerai come vorrai alla fine, lo so. E' impossibile controllare un universo in espansione del resto. Vivo adesso al mio meglio quindi, perchè sono convinta (e questo l'ho imparato a scuola, durante una lezione di letteratura latina) che l'esempio sial'unica maniera per trasmettere il senso di una vita. Fatta di tante cose, lunga o breve, ma assolutamente scelta. Ecco sì, sceglierai come ho fatto io. E nessuno potrà farlo per te.

PS. Una sola cosa ti prometto. Non nascerai in un paese come l'Italia dilettante di inizio millennio. L'indecenza / il rumore / il tempo perso di questi giorni saranno favole che ti racconterò, per farti conoscere come gli uomini a volte possano sbagliare, e sbagliare e sbagliare. Senza mai imparare dai propri errori.

domenica 23 gennaio 2011

AMOR OMNIA VINCIT

L'amore per qualcosa è, a mio parere, più longevo dell'amore per qualcuno.
Me lo suggeriscono l'esperienza personale e l'osservazione delle esperienze altrui.

Nel mio caso, il cinema è stato, da un momento in avanti, oggetto del mio amore.
All'età di circa 15 anni, cotta marcia per un proiezionista della sala parrocchiale del paese, andavo a vedere qualsiasi film venisse proiettato. Azione, blockbuster, commedia italiana. Film anche vecchi di qualche anno, perché allora la mia attenzione era più che altro rivolta a chi si celava in sala proiezione. Salto il racconto penoso della più grande infatuazione avuta (e passata, rassicuro i lettori), che comunque ricordo con dolcezza e molta (molta) compassione, per andare al sodo. Mi accorsi infatti che, lunedì sera dopo lunedì sera, quello che vedevo sullo schermo diventava sempre più importante. Non ho mai avuto l'animo del critico, e neppure la pazienza, dote a mio parere imprescindibile per chi voglia giudicare il lavoro altrui. Seplicemente mi innamorai del cinema. Inteso come sala buia. Affollata o vuota, rumorosa o silenziosa.
Da allora ho affinato il gusto, sono diventata più esigente, e sento spesso la lontananza dalla sala cinematografica. Non perché preferisca la finzione alla realtà, ma perchè trovo poetico rintracciare frammenti di realtà in una finzione. E' esorcizzante, se si tratta di paure, ansie e paranoie. E' eccitante, nel caso di viaggi, avventure, azione, fantascienza. E' consolante e anestetizzante, di fronte alle bruttezze quotidiane. Ovvero la sveglia presto, il caffè freddo, il traffico nella nebbia. Cose così.

Aggiungo che in sala non sto fino alla fine dei titoli di coda, a meno che non debba leggere chi abbia scritto quella canzone o interpretato quel personaggio. Non mi eccita leggere nomi di persone (importantissime, nessun dubbio in merito) di cui non so nulla. E, come detto, non ho l'ambizione del critico.
A me piace il cinema. Ho imparato ad amarlo da autodidatta, benché oggi abbia scoperto in cantina vecchi fascicoli di critica cinematografica. Come quasi sempre accade, è un amore nato da un altro amore. Si è sviluppato senza gomitate. Si è palesato e ci siamo piaciuti. Niente di più, niente di meno.

A seguire, un brevissimo elenco di film che vorrei vedere. E poi, di fim che non ho mai visto (amante poco amante, verrebbe da dire). Non sono perfetta, sono una donna non sono una santa - per dirla in musica, e soprattutto ho sviluppato altre passioni amorose. La fedeltà, in questo genere di cose, non è un valore realmente perseguibile.
Film che voglio vedere:
http://www.kingsspeech.com/index.html THE KING'S SPEECH (28 gennaio 2011)
http://www.imdb.com/title/tt1431181/ ANOTHER YEAR (4 febbraio 2011)
http://www.imdb.com/title/tt1250777/ KICK-ASS (25 febbraio 2011)
http://www.imdb.com/title/tt0985694/releaseinfo MACHETE (???)

Film che non ho mai visto:
http://www.imdb.com/title/tt0959337/ REVOLUTIONARY ROAD (2008)
http://www.imdb.com/title/tt0053198/ I 400 COLPI (1959)
http://www.imdb.com/title/tt0070239/ JESUS CHRIST SUPERSTAR (1973)
http://www.imdb.com/title/tt0047528/ LA STRADA (1954)
http://www.imdb.com/title/tt0070355/ UNA MAGNUM PER L'ISPETTORE CALLAGHAN (1973)
et alia.

giovedì 20 gennaio 2011

LOVE STORY / ASSHOLE'S VERSION

Non abbiamo più spazio.
Vero.
No ascolta, non so più dove mettere le cose, non ci stiamo, siamo sempre di più.
Ma se siamo solo io e te.
Sospiro. Silenzio. Sguardo trotterellante nel vuoto. Mano gratta testa, sposta ciuffo, riposiziona occhiali.
Ah ma mi vuoi dire che stiamo iniziando una di quelle discussioni in cui poi finisce che litighiamo sul serio?
Sospiro rumoroso. Mi dai i nervi porca miseria.
Ma cosa c'èèèèè?
Non ne ho ho voglia eh, non alzare la voce, non ci provare sai.
Ma se hai inziato tu? Sospiro. Ok, da capo. Non abbiamo spazio per cosa?
Per noi.
???
Sorriso atavicamente stanco, del genere Eva nel giardino dell'Eden.
Ma noi abbiamo spazio! Ci siamo appena trasferiti qui scusa, vuoi che non abbiamo spazio?
Appena trasferiti... ma se sono due mesi, c'è roba dappertutto, i tuoi cd infestano persino il bagno, il salotto è una bisca clandestina per i tuoi amici, le tue scarpe puzzolenti stanno ovunque, non lavi mai i piatti...
Esci da questo corpo, Satana!
Scemo. Madonna quanto sei scemo.
Se se se, ma se hai sorriso. Ho visto sai?
Non ho sorriso, mi prudeva...
Ti prudeva? Senti che mandrilla la mia ragazza ...
Sospiro sorridente.
Ahhhh ho capito cosa cavolo c'hai!? Ma dillo prima che c'hai la voglia del mio corpo! Tutta 'sta manfrina e poi...
Non ho nessuna voglia Pierluigi.
Pi - er - lu - i -gi. Ripetilo dai.
Ti soffocherei.
Pi - er - lu - i - gi. Dai, dillo.

Pierluigi si avvicina. Claudia si allontana. Pierluigi si toglie la maglietta. Claudia gli dà le spalle. Pierluigi si slaccia la cinta, saltellando prima sul piede dx poi sul sx per leversi i calzini in movimento. Verso Claudia.

Pi - er - lu- i - gi. Scommetto che non hai mai chiamato nessuno così.
Sei il primo e unico Pierluigi che ho mai conosciuto, quindi sì, non ho mai chiamato i miei ex col nome di un altro se era questo che intendevi.

Claudia si sdraia. Pierluigi è in mutande ormai.

Pier, hai frainteso. No sex, no way.
Ma sei una stracciacazzi.
Uh. Come mi fai venire voglia tu mai nessuno.
Lo so, è per questo che sei scappata nella mia tana bambolina maialina.
Veramente...
Veramente cosa? Guarda che lo so che tutti i tuoi amichetti intellettuali si stanno ancora chiedendo cosa ti abbia fatto venire qui!

Claudia rimane immobile sul letto, le mani incrociate sulla pancia, la testa verso Pierluigi.

E cosa, dimmi, cosa mi avrebbe fatto scappare qui, nella tana del manovale?
Credi che sia uno scemo eh, intelligentona.
No, dimmelo. Voglio sentirlo.
Quella sera, al locale, eri triste in mezzo ai tuoi amici. Forse il lavoro, non so, ma cercavi solo una scopata. Per il morale, per le endorfine, contro lo stress o il mal di testa. Per non pensare anche.
...
L'ho capito, e ci ho provato. Poi per caso è venuto tutto il resto. Neppure ci credevi, eh!? Ammettilo. Lo vedevo sai? Ogni volta avevi una faccia sbalordita; dopo ogni caffè preso per fare due chiacchere, dopo il primo cinepanettone visto assieme, dopo la prima pizza, dopo il concerto di Vasco. Dico: tu a sentire Vasco!!! Sudaticcia, urlante, senza voce. Incredibile, avrai pensato. Non credevi che saresti stata tanto felice. Non con uno come me. Non l'avevi preso in considerazione.
Ma cosa dici? Io...
Poi però hai capito cosa volevi. Lo zoticone del bar, l'imbianchino tuttofare, l'universitario fuori corso e senza laurea. E hai inziato a tenerci.
Pier davvero non pensavo che tu...
Che io capissi certe cose?
No. Non questo. Solo parli sempre di boh, non so, non non...
Non dobbiamo parlarne infatti, non mi piace farlo. A me basta sapere che hai scelto me, e non l'omino con lo smartphone.
Veramente tu hai un iPhone.
Perchè sono un tamarro, logico.
Ahahahaha. Sei troppo...
Troppo cosa?
Troppo tutto. Troppo, tanto, parecchio.
Silenzio. Sdraiati sul letto, Claudia e Pierluigi si fissano. Sono dolci. Non c'è astio. Non c'è acidità. Non c'è rivalità. Non c'è competizione tra loro. Siamo due mondi in collisione, pensa Claudia. Non so come faremo a tirare avanti insieme, ma non so come farei senza di lui. Non è possibile, sono inguaiata con un uomo che rutta a comando volendo.

domenica 16 gennaio 2011

Mad Men, il mio cioccolatino odierno

Premetto. Una serie televisiva deve essere come la voglia insaziabile di cioccolata. Ne devo sentire la mancanza (o bissi boi, appunto) mentre lavoro, avvertirne l'urgenza durante una serata tra amici. Entrare cioè in una consapevole ed altrettanto assuefante dipendenza. Come con il cioccolato, quando lo scoprii anni or sono.

Finito Lost, e soprattutto lasciato Sayd, l'arabo che ho amato tortura dopo tortura, è trascorso un periodo di felice apatia seriale. Ho sbirciato qualche episodio di Ugly Betty, Glee, Grey's Anatomy, True Blood. Piacevoli, come il te delle cinque però. Nessuna voglia di cioccolato.

Fino a che, complici le festività natalizie e quindi il tempo libero quadruplicato, ho downloadato Mad Men / Season 01, in netto ritardo sulla programmazione, che è già alla stagione 04.

Cioccolata.
Di quella finissima.
Antica bottega artigianale. Mobili in legno massiccio, solida struttura narrativa su cui mi posso appoggiare, ho pensato. Profumo di cacao nel'aria. Piano piano mi avvicino al bancone del cioccolatiere, che piano piano sceglie gli ingredienti per il mio cioccolatino. Non ammucchia sapori, ma procede per esclusione, selezionando. Non mette di tutto un po', ma dirige il mio gusto, appagandolo senza esagerare. Come posso spiegarvi? Muove le mani veloci, sopra un tripudio di spezie, ingredienti, coloranti. Gioca con i miei pensieri, e li asseconda; ma scansa sempre l'iperglicemia. Nessun orso polare, fumo nero, spostamento spazio temporale. Soggetto e sceneggiatura chiarissimi, contorni definiti (come le acconciature composte delle donne nei primi anni Sessanta), nessuna voce fuoricampo, pochissimi e dosatissimi flashback. Un mistero, ma nessuna morbosità.

Mad Men, ambientato in un'epoca passata (anni Sessanta, Presidenza Kennedy - la prima stagione), ha il fascino tipico dei vestiti a ruota, delle sigarette negli uffici, dei gentiluomini mascalzoni, delle casalinghe perbene.

E forse è proprio questo che mi piace tanto. Temi attuali, riunioni in uffici, piccole e grandi ingiustizie odierne, osservate da un punto di vista affascinante, poiché passato, conosciuto, per alcuni persino vissuto. Non troverete monologhi alla Meredith Grey, non lunghe sequenze musicate alla Lost, non divertenti balletti come in Glee.
Il cioccolatiere di Mad Men ha preparato un dolce che si prende molto sul serio, con un protagonista dal fisico taurino (Don Draper, direttore creativo dell'agenzia pubblicitaria di Madison Avenue. Da cui il titolo, Mad Men, che in italiano potrebbe essere reso 'Gli uomini di Mad - abbreviazione di Madison - Avenue), il talento innato, l'infedeltà congenita. Attorno a lui, tanti (ma definiti) personaggi, tutt'altro che minori. Moglie simil Grace Kelly, colleghi accaniti, segretarie dai reggiseni a punta e curve burrose, sigarette in ogni dove, alcool come se fosse acqua, e la Storia della nazione americana in piena era JFK. Questo è, almeno, quanto ho visto finora.

Sono al finale della seconda stagione, gli equilibri stanno cambiando. Marylin è appena morta, la Grande Madre Russia è un nemico vicino, in agenzia arriva il primo creativo omosessuale dichiarato, le code di cavallo delle ragazze si sciolgono, i neri potrebbero presto non essere solo i garçons degli ascensori. Avverto, nel procedere lento della serie, un nuovo sapore. Un cioccolato diverso; ed il palato si sta preparando. La voglia di assaggiare qualcosa di nuovo aumenta. Il maitre chocolatier, senza brusche variazioni sul tema, mi porge un nuovo cioccolatino.

Se non sapete cosa mangiarvi, provatelo pure voi. Poi ditemi.
http://www.youtube.com/watch?v=WcRr-Fb5xQo

giovedì 13 gennaio 2011

io descrivo, voi leggete, lui viaggia

Liberamente ispirato ad un album fotografico di un amico, che non tutti potete vedere.
Ma il bello sta nel farvi immaginare quello che io ho la fortuna di avere sbirciato.
Ogni paragrafo si collega ad una foto, giusto per farvi capire.

La roccia e la pozza. Che poi non credo sia una pozza, ma dalla (prima) foto dell’album non si capisce bene. E troppo lontano, quello che al mio occhio inesperto potrebbe anche essere un lago artificiale. O, appunto, una pozza.


Poi il mare. Versione ‘torna a Surriento’ made in Yemen. Con tanta (ma tanta) roccia, alberi dal tronco a patata (sono una naturalista, traspare dal lessico pertinente e per nulla approssimativo). Ma soprattutto il mare. Lo puoi sentire già, perché vedi la striscia bianca delle ultime onde sulla spiaggia. Forse è semplice suggestione però, perché in questa foto (la seconda), siamo troppo lontani dalla costa.

La pozza! Avevo ragione! Dall'alto vedo la lingua di roccia che scivola nella pozza, e lì si ferma. Non capisco come sia possibile, ma l’acqua nella pozza (che ho sempre immaginato essere marrone / grigio pozza) è verde. Incredibile. Sarà che la disegnano così. Potenza del fotoritocco. No, il viaggiatore in questione non mente. Deve essere quindi non inquinata, l’acqua che si è raccolta qui. Distillata dalla roccia. Elementi complementari. Io risplendo verde, tu trattieni le schifezze, concorda ogni giorno l’acqua con la roccia.

Taglio diagonale. La linea irregolare della parete rocciosa, la linea retta della montagna di sabbia. Da sinistra verso destra, dal basso verso l’alto. La foto (la quarta) ha tre colori – azzurro cielo, grigio parete, bianco sabbia. Percepisco che ‘blue is the new black’ è una grandissima puttanata, e decido le tre sfumature della stagione in arrivo.

Salto la quinta foto, che mi ricorda una delle tante location di Lost, e passo alla sesta. La portiera aperta della jeep significa ‘sosta, I need a toilette’. Ma dove fareste pipì voi? Sulla montagna (sacra) di sabbia, tra gli arbusti secchi, sulla rotta tracciata? Magari nella foto dopo vediamo dove l’hanno fatta loro.

Mh. L’albero dal fusto che sembra un tubero. Ma cos’è mai, mi chiedo? Prendo in considerazione l’effetto pipì, ma rido delle stupidate che penso.

Salto nuovamente le due foto successive. Alberi. Non li riconosco, mi sento un’ignorante. Meglio le tende in spiaggia (foto dieci, se non ho perso il conto). La spiaggia è fatta di sabbia, la stessa della montagna per intenderci. Tra le dita dei piedi, finissima, deve essere stato un piacere. I viaggiatori montano, smontano, si preparano, riposano. Chissà. Impressionante il silenzio comunque, che ci permette di sentire il mare. Credo sia l’Oceano. Scrosch.

Il crostaceo non lo commento. Non ce la faccio.

Mi sono accorta che le foto sono troppe. E commentarle tutte non posso. Sarebbe troppo facile dire quanto è fico quello che salta braccia aperte sospeso sulla sabbia, e allora non lo dico.

Con il nullaosta del viaggiatore, però, vi posto la foto che più mi piace. Ve la descrivo velocemente. Eccellenza cromatica e bidimensionalità. Azzurro. Blu. Bianco. Potreste invertire i colori degli elementi (nell’ordine cielo, striscia sottilissima di mare, terra), e vedere cosa accade. Forse sono Andy Warhol e non lo so. Oppure è la sensazione che provate tutti. La perfezione esiste, io l’ho vista, devo solo farmene una ragione ora.

Grazie al biondo, poiché ne vale sempre la pena.


martedì 11 gennaio 2011

El fitavul e Giorg de fer. Una storia.

Questa storia non l'ho inventata io.
Appartiene alla tradizione orale della mia famiglia. Anzi, della Brianza. O forse della Lombardia tutta. Di certo non della Padania, che fu scoperta anni dopo.
La versione originale è interamente in dialetto. Voi la leggerete in italiano (il mio italiano). Con qualche parola pseudodialettale, perché credo suoni bene.

C'era una una volta un fittavolo (el fitavul), sposato con una giovane ragazza.
El fitavul aveva molti campi da coltivare, una grande cascina, molti animali.
Un giorno giunse alle sue terre un giovane.
Buongiorno signor fitavul.
Buongiorno.
Mi chiamo Giorgio Di Ferro (Giorg de fer), sono in cerca di un lavoro.
El fitavul lo osservò. Giorg de fer era un ragazzo molto alto, muscoloso, enorme. Braccia utili in campagna, pensò el fitavul.
Va bene, puoi lavorare per me Gior de fer. Ma dimmi - aggiunse - cosa vorresti in cambio? Quanto del mio grano?
Niente grano, rispose Giorg de fer.
Cum al è? (Come?), esclamò el fitavul. Impusibil (Impossibile).
Le chiedo solo una cosa, concluse Gior de fer.
Ah ecu, te vist!? (Ah ecco, visto!?), L'era impusibil (Era impossibile).
Alla fine del mio lavoro, quando avrò arato tutti i campi, e le terre saranno pronte per una nuova semina, allora Le darò un calcio nel sedere.
Cosa? Un calcio nel sedere?, rise el fitavul.
Certo, solo questo.
El fitavul ci pensò un po', e poi accettò. Chest chi l'è mat (Questo è matto), pensò.

Giorg de fer iniziò così a lavorare per el fitavul. Forte come un bue, testardo come un mulo. Una forza della natura. E più passavano i giorni, più Giorg de fer dventava potente.
El fitavul iniziò a preoccuparsi. Cavul, l'è propri fort (Cavolo, è proprio forte). Chest chi el me sfunda el bus del gnau (Questo mi sfonda il buco del sedere, poiché gnau non ha una traduzione corrispondente in italiano credo).

Giorg de fer, esordì el fitavul. Stai lavorando sodo, sono molto contento. Non potrei chiedere di meglio. Ma senti, potremmo riparlare della tua ricompensa?
No.
Dai Giorg de fer, asculta (ascolta). Ti farò lavorare ancora per me, potrai dormire nella mia cascina, sarai il benvenuto alla mia tavola.
No.
El fitavul iniziò a piangere.
Ma Giorg de fer non esitò. Quando sarà il giorno, Le darò un calcio nel sedere, come abbiamo deciso.

Giorg de fer arava da solo i campi, trainando l'aratro con le proprie braccia. Zappava la terra instancabile. Tutto il giorno, tutti i giorni. Dall'alba al tramonto. Finché non arrivò la fine della stagione.

Signor fitavul, gridò Giorg de fer dalla piana. E' il giorno!
El fitavul piangeva. Ti prego Giorg de fer, no no no.
Signor fitavul, rispose Giorg de fer, avevamo fatto un patto. 
Prese la rincorsa, mirò il sedere del fitavul, e assestò un calcione poderoso.
Un calcio così forte, che il povero fitavul prese il volo.
E volò sopra la piana, le terre, le Alpi, il mare, il cielo.
Un calcio così potente, che atterrò sulla luna.
Giorg de fer, allora, diventò il padrono di quelle terre ormai senza proprietario. Prese in moglie la giovane sposa del fitavul, e visse felice e contento.

Se ancora oggi, di notte, guardate la luna, vedrete delle macchie scure sulla superficie bianca.
Sono le terre arate dal vecchio fitavul, che un giorno, tanto tempo fa, venne fregato da un giovane forte, ma soprattutto astuto.


Raccontata di sera, d'estate e all'aperto, raggiungerete il massimo effetto. I bambini alzeranno lo sguardo, butteranno la testa all'indietro, apriranno la bocca. Farete un figurone; diventerete lo zio preferito, la nonna più richiesta, il genitore che sa tante cose. Mentre i bambini svilupperanno un'immaginazione extralarge, un amore per le storie insaziabile. Si apriranno un blog, scriveranno di voi e delle storie raccontate loro, sapranno sempre riconoscere un buon oratore da uno che parla a sproposito, daranno peso alle parole dette e ascoltate. Ameranno il silenzio dopo una chiaccherata intensa, il pensiero intimo che ne scaturisce, la riflessione che non si attorciglia. E sapranno che c'è vita sulla luna.


sabato 8 gennaio 2011

Muhammad Ali / I am the Greatest

Una festa è esattamente quello che ci vuole.
Ciao. Ciao. Ti conosco... tu sei. Ehm no, mi scambi per un'altra persona. Comunque piacere, mi chiamo. Ma Scusa io sono qui solo per non essere a casa (penso). Quindi adesso ti sorrido, mi volto, sparisco nella folla (finisco di pensare).

Due ore. Due ore sono una buona media. Il tempo per bere, chiaccherare senza interesse, guardarsi attorno, ridere almeno una volta, sorridere di default. Basta dare l'impressione di essere abituati al bla bla bla. Di aver letto l'ultimo libro di XX, avere ovviamente un'opinione in merito, storcere la bocca e ondeggiare la testa per sottolineare quanto sia fedele alle mie idee, tornare a bere per porre fine alla conversazione.

Come farebbe Muhammad Ali, già Cassius Clay, mi muovo veloce, saltello sulle punte, stordisco gli interlocutori per evitare il colpo ferale, quello che stende l'entusiasmo ed il piacere della convivialità. Ovvero:
La coppia sposata che parla del viaggio di nozze.
La neomamma che elenca i mille più uno modi di ruttare del figlioletto.
Il manager appena tornato da un'estenuate riunione coi cinesi.
La donna in carriera che cavalca la crisi.
L'intellettuale / universitario / ricercatore contro il Governo, l'Antigoverno, l'opposizione, i comunisti e l'Impero del Male.
L'uomo in silenzio che nasconde dientro al silenzio la totale mancanza di argomenti, ma che sembra interessante (in virtù del suo mutismo).
Tutti, pensandoci, sono potenziali Joe Frazier. Tutt potrebbero darmi il KO, aprire il baratro della noia, farmi pentire di essere uscita stasera.

Poi l'inatteso. Un bellissimo ragazzo. Mischiato agli altri, nascosto da uomini e donne che già ho dimenticato, sottotono rispetto ai lustrini. Non si fa largo. Ammicca in continuazione, è a caccia. Mi ricorda il cervo di The Deer Hunter, Il Cacciatore di Michael Cimino. Gran film. E pure questo ragazzo, gran ragazzo.

Si morde il labbro, parla con amici, beve. Appoggia la birra, si accende la sigaretta. La sensazione di piacere, i muscoli rilassati, lo sguardo indagatore. La barba scura, sciupata, non voluta, ma cresciuta un po' per caso. Riccioli, tanti riccioli. Una valanga di riccioli. Di quelli che hai voglia di spettinare, di accarezzare, di arrotolare, di tirare. Mi rendo conto di essere in fissa. Con sforzo distolgo lo sguardo, sperando di non pererlo di vista. Continua ad essere appoggiato alla parete, non si sa mai cadesse la stanza. Non sa ballare, non sente il ritmo, evita il ridicolo ella pista. Peccato, se avessero messo la lambada avrei compreso, ma con questa musica da cheek to cheek è davvero un peccato che lui non accenni neppure un movimento. Mi chiedo chi sia. Cosa faccia. Di chi sia amico. Magari è capitato qui, magari è il vicino del piano di sopra sceso per lamentarsi del rumore. Magari è un pirata venuto dalla galassia di FRDGTS che ci salverà dall'imminente fine. Magari ho bevuto troppo.

Decido di andare, sono stanca, i piedi li ho persi un'ora fa, le scarpe le sto odiando, e il vino è finito. cerco il cappotto, la padrona di casa mi indica la sua stanza. E' lì, dice. Mi scontro con il ragazzo bellissimo. Il corridoio è stretto, i mobili sono tanti, la gente mormora e soprattutto è sempre in mezzo alle palle.
Scusa. No niente. Cerchiamo le nostre giacche sul letto, per terra, sulla sedia. Io ho un piumino ingombrante, mi maledico. Sembro l'omino Michelin bardata così. Lui alza lo sguardo, ride. Di me. Sì lo so, dico. E' la reazione di tutti. Ride di nuovo. Non ci credo, lo faccio ridere. Che amarezza immensa elevata al cubo. Che destino beffardo. Che sfiga. Lui è il dio greco sceso dall'Olimpo per accoppiarsi con una comune mortale, e trova il pagliaccio che lo fa spanciare dalle risate. Scuoto la testa, inconsapevolmente credo. Cosa c'è? dice lui. Non trovi qualcosa? Devo fare una faccia da punto interrogativo, perchè lui mi spiega. Sembra che tu abbia perso qualcosa, è per quello che chiedevo. Ah no no no no no. Un no in meno ci stava, penso. Lui ride. Gli sto simpatica. Rido pure io, per cortesia più che altro. Non ci trovo nulla di divertente personalmente, ma il suo sorriso è talmente bello che è un peccato non assecondarlo. In piedi, entrambi pronti per uscire, ridiamo come due scemi. Te ne vai? dice. No, avevo freddo sai. Ride. Devo smetterla di sparare cazzate, non sono un comico, e soprattutto non è sexy. I suoi occhi si fanno dolci, cioccolato fondente colante. Gratta la barba, arruffa i ricci, finisce di ridere, deglutisce, sorride. Abiti lontano?, mi chiede. No, anzi torno a piedi. Qui sto soffocando, sono vestita da uomo delle nevi da dieci minuti, avrò i funghi sotto le ascelle ormai. Appena concudo la frase mi rendo conto di quanto sia inopportuna a volte. L'immagine di funghi sotto le ascelle è disgustante cazzo. Lui ride. Ancora! Sono la regina degli scemi. Brava. Complimenti. Mi stringo le mani da me, perfetta imbecille. Allora sbrighiamoci, usciamo, dice.

La volpe nascosta in me, sotto cumuli di demenza, si sveglia.
Nota il suo sguardo.
La mano dietro la schiena mentre mi accompagna alla porta (nonostante il piumino che indosso. Mica male).
Le labbra mordicchiose.
La sigaretta che si fuma per strada, chiedendomi in che direzione dobbiamo andare.
La sosta sotto il mio portone.
Il momento di pausa mentre cerco le chiavi nella borsa di Mary Poppins.
Alzo la testa. Lui si avvicina. Abiti qui? Sì, rispondo, evitando la battuta "no, mi piace fermarmi davanti portoni a caso alle due di notte". Saliamo, ti va? Fa freddo e io non ho il piumino addosso sai.

Cosa ho risposto? Sono stata zitta. E ho riso io.

martedì 4 gennaio 2011

A UN CERBIATTO SOMIGLIA IL MIO AMORE

Da un libro consigliato.
Pagine 274 / 275.
Una descrizione.
Che apre una connessione.
Che innesca un ricordo.
Che cristallizza una sensazione.
Che stimola un sorriso a labbra chiuse.

Si rammentò di un episodio, forse perchè Avram la sovrastava: Ofer aveva un anno. Lei era stesa sul letto e lo teneva alto, sui piedi, giocando con lui a fare l'aeroplano. Ofer rideva, sballottato di qua e di là, e l'aureola dei suoi capelli sottili si sollevava e ricadeva dolcemente a ogni movimento. I raggi del sole che filtravano dalla finestra gli illuminavano le orecchie, rendendole arancioni e trasparenti. Erano molto sporgenti, proprio come adesso. Lei dondolava Ofer di fronte alla luce e vedeva nelle sue orecchie una rete, serpeggiante, di capillari sottili, tenere protuberanze. Si era fatta silenziosa e concentrata, come se qualcuno le stesse rivelando un segreto inesprimibile a parole. Probabilmente il suo viso aveva mutato espressione perchè Ofer aver aveva smesso di ridere e l'aveva guardata, serio. Aveva increspato le labbra in una smorfia da vecchio saggio, anche un po' ironica, e lei aveva pensato a quanto ogni parte del suo corpo fosse stupenda e precisa e si era sentita colmare di dolcezza. Lo aveva dondolato lentamente, spostandolo di qua e di là e catturando l'intero sole in un suo unico orecchio.

Salgo in macchina un po' arrabbiata. La festa della mia migliore amica di allora non era ancora terminata, le compagne stavano giocando e finendo patatine. Io no. Messo il cappotto e la sciarpa, avevo mamma e papà ad aspettarmi. Brrr, che freddo a gennaio. Ad ogni gennaio, anche in quello del 1990. Scusa mamma ma perché siete venuti così presto? Ohhh. Oh. Ma, ma, ma. Questo qui deve essere mio fratello.
Sì, lo era. Appena uscito dall'ospedale, circa quattro giorni dopo la nascita, il fratellino stava venendo a casa. E mi era passato a prendere alla festa, senza dirmi niente. Era giallo, aveva l'ittero. Ma era la cosa più mordidosa che avessi mai visto. Dormiva, o comunque aveva le palpebre chiuse. Le ciglia lunghe. Le sopracciglia inesistenti. Le narici minuscole. Le unghie millimetriche. Nessuna fossetta. Il testone gigantesco con il corpo da carrozzina. Era bellissimo. Non come sono bellissimi i neonati. Questo qui era davvero il neonato più bello che avessi mai visto. Era mio, di mamma e papà, ma anche mio. Un maschietto. Un bambolotto. Uno sbrodolino. Una gomitolo di lana. Un orsacchiotto che faceva le bolle. Un piumino in cui affondare la faccia.

Tra i ricordi personali, lo trovo alla D di dolcezza.