lunedì 30 gennaio 2012

Quando vomitavo e volevo morire non ero una brutta persona

Ciao lettori!

Vi è mancata quella salubre lettura che condisce le vostre giornate altrimenti insapori quanto il riso bianco senza sale prescritto dal nutrizionista di Kate Moss. I know. Avreste potuto darvi all'ippica, ma avete scelto di tornare qui. E sarete premiati. 

Enjoy and jalla jalla.


Sono di fronte alla donna che, con un dolcissimo cenno della mano, potrebbe far rotolare la mia testa sulla moquette più morbida che abbia mai visto. La custode del sapere, dell'astuzia e del senso mistico per gli affari; il cardine del network più influente degli ultimi, bah, vent'anni. 

Le descrivo cosa ho fatto, chi sono, dove voglio andare. In sostanza mento. 

Tralascio i pessimi voti in analisi, lontano ricordo di quando pensavo di meritarmi la sufficienza disegnando gli assi cartesiani perpendicolari tra loro. 'Prometti, davanti alla commissione che ti giudica, di non iscriverti mai e poi mai a Matematica. Fallo, e ti diamo la Maturità': con questa frase sono stata licenziata dal liceo, in una mattina di luglio del 2001. 
Ometto l'assoluta attitudine all'iracondia. 
E, infine, decanto una fittizia tabella di marcia che mi dovrebbe condurre sana e appagata ai miei primi quarant'anni, bella come Carol Alt nell'omonimo film, senza Ayrton Senna alla mia destra mentre guido.

Sento le mie parole, e mi vorrei far sanguinare con l'accetta mai sotterrata che ho riposto nella borsetta. Evidentemente anche la mia interlocutrice, che non muove un muscolo facciale da che le sono davanti.

'Queste cose le so. Le ho lette sul suo curriculum, mi sono state riferite dai miei collaboratori. Mi dica qualcosa che non potrei conoscere, mi faccia incuriosire, mi lasci senza parole, trovi il varco. Tra cinque minuti esco, le consiglio di essere sintetica, altrimenti potrebbe ritrovarsi a parlare da sola'.

Va bene, Signora che si accoppia con Dart Fener e poi gli stacca i testicoli a morsi, penso. Mi viene da vomitare, ma va bene.

'Dovrebbe scegliere me,  perché lo ha già fatto, esattamente il 28 marzo di qualche anno fa, un uomo che, se non fosse il mio compagno, consiglierei alla mia migliore amica. E' il padre di mio figlio, e non ha sbavato mai una volta con i pennarelli. Si è ciucciato non so quante sedute di terapia di coppia, e pensare che la depressione post parto l'ho avuta io, non lui. Mi ha guardata sputare ogni ben di dio sulla tazza alzata del nostro bagno degli ospiti, spruzzando sui tappetini nuovi che ci regalò sua madre.Non mi ha toccata per... per sette mesi tondi tondi. Credo si sia slogato il polso, certo, non nego la forza della natura. Ma ha capito, dal primo giorno dell'oblio, che quell'oblio lo avrei decorato seguendo il mio insindacabile gusto. Avrei potuto risucchiarlo, farlo a pezzi, masticarlo e risputarlo; me l'avrebbe lasciato fare, ne ho la certezza ora come l'avevo allora. Eppure non è scappato. Amando per due il nostro bambino, la bestia che singhiozzava, mangiava e rigurgitava senza sosta.'.

Quello che dissi in quei cinque minuti, non ho più avuto il coraggio di ripeterlo a nessuno. Questa donna  gelida e calcolatrice, divenuta il mio responsabile diretto, custodisce il segreto che, ogni mattina, mi fa ancora oggi tremare quando mi guardo allo specchio, e una domanda s'insinua. 
Se non fosse andata in questo modo, come sarebbe potuta andare?


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