domenica 8 gennaio 2012

UNTITLED #02. Chapter IV - The Kingdom of Something We Could Call Unconditional Adoration

Ciao lettori!
Fra di voi c’è chi ha lamentato la mancanza di storie nuove e l’eccessivo posting, sulla pagina facebook che vi raccoglie fedeli, di racconti passati.
Vi chiedo di essere pazienti, di assecondare il mio ritmo, di rispettare il mio spazio.

Oggi riprendiamo le fila della storia con Angelo - Capitolo IV.
Enjoy sempre.

Sono circa sette mesi che usciamo, e che dico ‘esco con Angelo’. Qualcuno ha iniziato a chiedermi cosa significhi l’espressione ‘uscire con Angelo’, spingendo il discorso verso la celerità nemica del tempo, la necessità di tracciare delle linee, la funzionalità delle relazioni che, come tutti ben sappiamo, hanno un inizio (START), uno svolgimento (ALL THESE THINGS THAT WE’VE DONE) una fine anche a volte (SUDDENLY, THE END). Alcuni mi fanno notare quanto sia sconveniente procrastinare: “Fossi in te, lo metterei alle strette”. Beh non sei me, non sei neppure Fraser di fronte a Cassius Clay, evita l’immedesimazione iperbolica.

Angelo è fluido nei pensieri e nelle azioni, e non ha paura di me.
Questo, per farla breve ma intensa, mi ha fatto innamorare. Da giorni me ne sono resa conto, così mi confido questo segreto tutte le volte che sono in ascensore in solitaria, che ordino il succo al barista gentile, che riepilogo le cose da fare in riunione. Io lo so: lo amo. Eppure. Leggete il casino che sono riuscita a combinare.

Una sera di un mese del calendario che potrebbe stare tra novembre e febbraio, Angelo decide di dirmi che mi ama. Sta parcheggiando fuori dalla pizzeria di Alì, l’egiziano che ci nutre per pochi euro, e piazza la bomba da tre punti allo scadere dell'ultimo quarto. Lo so che mi ami, penso, ma perché dirmelo ora, che Alì ci ha già visti e sta infornando la mia margherita!? Prendo tempo dunque, pescando la peggiore tra le mille risposte possibili: “In che senso?”. WRONG!, la campana suona per me, caro e amatissimo Ernest: l’ho detta grossa, non mi resta che ammutolire. “Nel senso che ti amo. E tu sei una stronza”. “Bene bene bene. Allora avevo capito giusto, dicevi esattamente quel tipo di amore lì”, dico, prima di mordermi la lingua per eccesso di cazzutaggine.

Angelo scende dall’auto, deflagra la portiera, credo abbia un bazooka puntato verso di me. 
“Dimmi cosa non va, perché giuro Iddio Cristo che ti mollo qui fuori”. 
Divento afona. Non lo so cosa non stia andando, mi ha colto impreparata. Ho le mie cose, l’umidità arriccia i capelli, mi sono accorta di aver rigato le calze nuove, mi domando se avrò mai l’occasione di rivedere Avatar al cinema. Ci sono milioni di cose Angelo, milioni di insignificanti particolari trascurabili che si attaccano a milioni di importantissimi sentimenti e considerazioni. Potresti invecchiare qui, sul marciapiede di fronte ad Alì, se solo attaccassi la tiritera. E non contenta, mischierei le carte, perderei il filo, farei confusione, mi odieresti a causa del mio debolissimo senso logico. Ma io ti amo, questo l’ho intuito da tempo, ed è proprio per questo che non riesco a dirtelo.

Ve l’ho detto all’inizio no?, "amo Angelo perché è fluido nei pensieri e nelle azioni, e non ha paura di me”. 
Mi prende, con le giacche a vento che si strusciano appiccicate. Abbasso la testa, scoppio. Una fontana, un rubinetto che allaga il bagno di casa; singhiozzo silenziosa sul suo piumino. “Ehi tu, ehi. Ho esagerato”, dice. Immobile, appoggia il labbro al mio orecchio, mi racconta una storia. “Sette mesi fa una in tuta da ginnastica mi perseguitava sulla pista d’atletica. Lei faceva un giro ansimante come un cammello, io finivo l’allenamento intero. Mi era impossibile non notarla, perché questa ragazza mi teneva sotto tiro. Un giorno è persino caduta correndo, pensa che sfigata. Abbiamo iniziato a salutarci, e il caso vuole frequentassimo lo stesso supermarket. L’ho baciata al banco verdura, non l’avevo mai fatto. Ma questa ragazza mi implorava di farlo”. “Non ti ho implorato io!”, scatto d’orgoglio tra moccio. “Bene, non sei soffocata nelle tue stesse lacrime… La ragazza, dicevo, mi mangiava con gli occhi. Mi sono lasciato divorare: bruciava di volontà, disordinava ogni mio razionale tentativo di depistaggio, illogica si insinuava nei momenti di pausa, di nascosto misurava le mie pulsazioni. Poi è venuto il resto, e oggi amo una giovane schizofrenica”. 
Finalmente lo guardo, e lo vedo a un palmo dal mio naso. Sono lì lì per piangere ancora, ma Angelo capisce, e si riattacca al mio lobo: “Ho detto solo che ti amo, sigilla la falda acquifera per cortesia”.

Non siamo più entrati da Alì, ma a casa gli ho spiegato perché avessi pianto così, senza controllo, senza neppure lasciarlo cenare. Angelo non ha paura di me, ecco perché merita il mio amore.

Nessun commento:

Posta un commento