lunedì 5 maggio 2014

The beat goes on sempre e x sempre

Ciao lettori

Maggio ci catapulta lontano.

Enjoy the movie once the tale is over The 25th Hour (spoiling ending scene), by Spike Lee


L'ho portata in un altro continente, perché desiderava conoscere altri bambini. Mia madre ha suggerito di iscriverla in piscina, ma Vivienne le ha sorriso a denti stretti, sgranando gli occhioni, fingendo come ha imparato a fare per non ferire la nonna e i suoi velati consigli. 'Voglio giocare con i bambini di Harlem, mami, non mi frega niente di stare a galla in una pozza di cloro dietro casa'. Ho interpretato così la sua espressione, e siamo partite, lasciando un messaggio in segreteria a mia madre: "Niente piscina per il momento, ti chiamo appena atterriamo. Baci!'.

Il tassista non smetteva di guardare la mia bambina. 'E' sempre così?' - 'No no no... Sa stare seduta sul sedile solitamente, ma è un po' eccitata dal panorama. Le sta dando fastidio?' - 'Assolutamente no, Mad'me. E poi mi sta pulendo tutti i finestrini dell'auto col nasino! Ahahah! La lasci fare'.

Vivienne non ha dormito mai, e, quando scrivo mai, intendo il completo lasso di tempo: 24/7 sveglia, emozionata, commossa, pensierosa, curiosa e silenziosa. Canticchiava ogni tanto, del resto c'era musica ovunque: il ritmo delle auto della polizia, con le loro sirene come nei film di Spike Lee, i martelli pneumatici dei lavori tra la 5th e Madison Av, gli ipod dei nostri vicini in metropolitana salendo verso Harlem, le cornamuse appena fuori da Grand Central Station. La mia bambina muoveva il collo appena, cogliendo i battiti infiniti della città.

Abbiamo assaggiato ogni cibo e bevanda avessimo occasione di comprare: una cheesacake dalla consistenza marmorea e burrosa, che avrebbe sfamato l'elefantino che Vivienne mi ha chiesto di adottare per Natale. Poi carne rossa morbidissima e veggies, smoothies energetici ai martilli, gamberetti giganti - quasi parlanti al Chelsea Market, uova cremose dentro un bagel dorato, patate come se piovessero, petto di pollo in salsa di limone e vino, pudding caramellato al cognac, cappuccini in cartoni coi nostri nomi scritti sopra. Sorridevamo l'una all'altra, strizzandoci l'occhio ogni volta ci sentivamo dire 'Ooooh Ittttalia! Scusa, grazzzzie, wonderful!!!!!!!!!'. E così Viv ha scoperto che al mondo esiste gente più entusiasta di lei.

A Coney Island, prima di toccare l'oceano freddissimo e passeggiare verso Little Odessa e i suoi russi, abbiamo morso il nostro primo hot dog con mostarda; mentre ai piedi di Wall Street ci siamo concesse la schifezza assoluta, un pretzel ripieno di cheddar arancione fluo, che avrebbe potuto risplendere nella notte. Dopo un bicchierone di Real American Coke abbiamo rischiato il coma da zuccheri; ma i nostri stomaci si abituano presto a tutto, e nessuno è stato male.

Abbiamo imparato a fermare i taxi per strada: intimidite la prima volta, disinvolte le restanti, alzavamo le braccia al cielo, infilandoci dentro al primo che ci caricava e, per lo meno io, pregando in silenzio affinché usasse il freno almeno agli incroci.
Camminando per Hell's Kitchen siamo salite sulla High Line: vecchie rotaie che accarezzano i tetti di Chelsea fino al Meatpacking District, dove pure Renzo Piano ha uno studio.
Siamo rimaste sbalordite dai cinesi di Chinatown: 'Mamma, scusa, ma quanti sono!?'.

Avevamo sempre un motivo in testa, e abbiamo canticchiato per strada, camminando stanche, lamentandoci a vicenda. 'Mamma mi fanno male i piedi' - 'Anche a me, è genetico. Facciamo una corsa per non pensarci troppo mh!?'. Viv non esitava, e si lanciava braccia aperte e muffin stretto in mano per le strade di Brooklyn Heights, il quartiere benestante al di là dell'East River dove ci piacerebbe tanto vivere un giorno, quando saremo ricche e avremo il cane da pisciare.

Ci siamo perse al Met, commuovendoci davanti al servizio di insalatiere in vera e originale e sola porcellana di Sevres. Uno spettacolo, ci siamo dette: se piangiamo per due piatti dipinti di rosa, azzurro e verde acqua, siamo delle anime sensibilissime. Abbiamo fotografato i quadri di Matisse, per farli vedere a nonno una volta tornate, immaginando come si sarebbe divertito al MoMa. A lui dobbiamo l'amore per i colori, le sfumature, il senso delle linee e delle proporzioni che l'arte insegna alla vita di tutti i giorni.

Viv ha conosciuto una barcata di bambini, dopotutto era il motivo per cui siamo partite. Ho l'impressione le siano piaciuti più o meno tutti: hanno caschetti a forma di anguria per andare sui pattini, skateboard e biciclette, e sembrano vestirsi a caso, esattamente come lei.

Abbiamo una miriade di foto bruttissime e fuori fuoco che stiamo riordinando, per non dimenticare la sensazione travolgente avuta la prima sera, quando il tassista cortese ci ha lasciate sulla Lexington. Voltandoci per raccogliere i bagagli abbiamo visto quanto siamo piccole ai piedi del più bel grattacielo della città e ai suoi gargoyle in acciaio. Vivienne ha fatto ROAR, e lì ho capito che dovrò lavorare tantissimo e risparmiare altrettanto per permetterle di frequentare il college qui, o pagarle il viaggio di sola andata e lasciarle fare la cameriera in un locale dell'East Village, in cerca della sua storia.

Nessun commento:

Posta un commento